il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2023
Toghe onorarie senza stipendio. Caporalato statale
Le storie di lavoro povero, sfruttato, svilito sono purtroppo all’ordine del giorno in Italia. Questa, che si trascina ormai da quasi 25 anni, ha un che di lunare perché “il caporale” è lo Stato. Di più: è il ministero della Giustizia, che si rifiuta di applicare norme e sentenze a oltre 5mila suoi lavoratori e ormai da 7 anni s’inventa norme, riforme e codicilli pur di non doverlo fare. Parliamo dell’annosa questione della magistratura onoraria (giudici, di pace o di tribunale, e viceprocuratori onorari), categoria che da fine anni Novanta aiuta il disastrato sistema giudiziario italiano a non tirare le cuoia sgravando assai il lavoro dei circa 10mila magistrati togati. La novità è questa: la situazione s’è talmente incasinata che qualche decina di queste toghe onorarie al momento lavora senza ricevere stipendio perché manca una circolare che chiarisca come farlo in base alla riforma Cartabia di fine 2021. Ciliegina sulla torta: la Commissione Ue ha già detto a luglio che la riforma Cartabia non va bene, è discriminatoria e viola il diritto comunitario.
Com’è possibile una cosa del genere? Tutto è possibile e nel Paese della Commedia dell’Arte c’è sempre una maschera per raccontarlo: nel nostro caso è Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia di Forza Italia. Il perché è presto detto. Venerdì 17 marzo il governo doveva rispondere all’interrogazione di un membro della sua maggioranza, Maurizio Lupi, che chiedeva in sostanza come – dopo due lettere di “messa in mora” della Commissione Ue e diverse sentenze della Corte di giustizia europea – si voleva finalmente garantire a questi lavoratori i diritti finora negati. Per il governo in Aula c’era proprio Sisto, che s’è esibito in una supercazzola di mezz’ora senza dare alcuna risposta: va tutto bene. Niente di male, se non fosse lo stesso Sisto che due anni e mezzo fa figurava tra gli avvocati che vinsero una causa dei giudici di pace alla Corte di Giustizia Ue: nell’archivio di Radiorai lo si può ancora sentire commentare quella “sentenza fondamentale”, “una pietra miliare che qualcuno cerca di disconoscere” (la maggioranza Pd-M5S all’epoca), un comportamento “ipocrita” di chi “elogia i magistrati onorari e poi li tratta da scopini della giustizia” e non vuole dar soddisfazione a questi “lavoratori sfruttati”. Siamo ad Arlecchino avvocato di due padroni.
I particolari divertenti, però, non rendono questa storia meno assurda e offensiva. Per capirla, serve un breve riassunto. Ignorati quasi sempre dai giudici del lavoro italiani, nel 2016 i ricorsi vinti in Europa dai magistrati onorari avevano spinto la Commissione Ue ad aprire una procedura d’infrazione in cui Bruxelles sosteneva l’indicibile: questi magistrati onorari sono lavoratori e avrebbero diritto a un contratto con relativo stipendio e a cose tipo la malattia, le ferie, la maternità, i contributi previdenziali, etc. La difesa del governo era stata invece che non erano affatto lavoratori, ma gentiluomini e gentildonne che a tempo perso davano una mano nei tribunali, temporaneamente e in cambio di un mero rimborso spese: una linea supportata per un paio di decenni dalla magistratura togata italiana e dai suoi organi, che pure di quel lavoro che non deve chiamarsi lavoro si giova per le sue statistiche di risultato.
Di fronte alla procedura di infrazione, l’allora Guardasigilli Andrea Orlando propose una sua riforma. Era talmente ben congegnata che 108 procuratori capo, all’epoca, gli scrissero che “senza l’attività dei magistrati onorari gli uffici verrebbero a trovarsi in situazione di grave crisi e di notevoli difficoltà nel far fronte ai propri compiti… con gravi ripercussioni sulla stessa possibilità di celebrazione di molti procedimenti pendenti”. Non esageravano: in quel periodo, secondo Rivista Giuridica, i giudici onorari e di pace definivano ad esempio il 40% del contenzioso civile. La riforma Orlando alla fine vale solo per chi è stato nominato dopo l’agosto 2017, lavoratore autonomo a partita Iva (sono pochissimi), gli altri vengono ancora pagati a cottimo: gli uni e gli altri, in ogni caso, molto poco.
Tra una crisi di governo e l’altra ci fu poi la sentenza del 2020, quella di Sisto, che stabiliva che questi tizi sono proprio lavoratori, magari a termine, ma con quel che ne consegue in termini di garanzie legali e diritti economici. Nel luglio 2021 arrivò la prima lettera di messa in mora della Commissione Ue al governo italiano. A quel punto serviva la riforma della riforma Orlando e ci pensò l’ex ministra Cartabia nella legge di Bilancio di fine 2021: una mezza stabilizzazione di chi era già in servizio da prima dell’agosto 2017, ma con la contestuale rinuncia a qualunque pretesa risarcitoria; lo stipendio da parametrare su quello del personale amministrativo giudiziario, ma del 2021 (sic) e senza straordinari e altre voci.
Problema: manca ancora la circolare che chiarisca nei dettagli come viene calcolato questo stipendio. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha promesso che sarà emanata entro marzo, ma intanto 1.700 toghe onorarie hanno partecipato alla prova orale per essere stabilizzate e circa 400 hanno già avuto il decreto ministeriale di nomina, ricadono dunque nel nuovo regime e non si sa come pagarli (qualche Tribunale e Procura ha semplicemente smesso di farlo…).
In attesa della circolare, c’è un altro problema. A luglio la Commissione Ue ha inviato la seconda lettera di messa in mora all’Italia, quella che in genere precede le multe, bocciando pure la riforma Cartabia. Il riassunto dell’assurdità della situazione è perfetto: guardate, dice l’Ue al governo, che questi 5mila sono proprio lavoratori e li dovete contrattualizzare come tali, con tutte le tutele del caso. E poi, se svolgono attività giurisdizionale, che c’entra lo stipendio degli amministrativi? E se usate quello stipendio come parametro, perché glielo decurtate e li escludete dai futuri rinnovi contrattuali? E ancora: perché gli assunti post 2017 li lasciate a partita Iva? E infine: vi rendete conto che la rinuncia per legge a vedersi risarcito il pregresso è illegittima?
Ecco, partiamo da qui: al ministero ritengono che risarcire stipendi e contributi negati per vent’anni possa costare fino a 3 miliardi di euro, che non ci sono. Si proverà, ma non è facile, a fare una riforma (della riforma della riforma) che sani almeno le discriminazioni più enormi ed eviti all’Italia l’ennesima multa milionaria dell’Ue: se ne occuperà sempre Delmastro, che avrà l’ostacolo parziale del Tesoro quanto ai soldi e quello totale della magistratura ordinaria, compresa quella in distacco nel suo ministero, su tutto il resto. È il problema di quando il caporale fa le leggi contro il caporalato.