il Giornale, 27 marzo 2023
Agnelli, ritratto di un antipatico
A parte essere un Agnelli, che è già tantissimo, Andrea è tre cose: imprenditore, dirigente sportivo (ex...) e antipatico. Un giornalista che lo tiene in grande stima ha detto di lui: «Non è antipatico per caso, è antipatico per scelta». E forse fa bene. Perché, come si dice nel mondo dello sport, «se sei simpatico significa che stai perdendo».
Perdente da un punto di vista economico-finanziario (debiti, bond, mega-stipendi, spese pazze), vincente da quello calcistico (nove scudetti di fila, l’apertura dello stadio di proprietà, persino il calcio femminile) – nessuno ha mai messo in dubbio l’amore per la Juventus, un po’ invece le sue capacità manageriali, Andrea Agnelli di tutti gli Agnelli è il meno Agnelli. Non ha lo stile dell’Avvocato. Non ha l’arguzia dialettica di Umberto, il padre. Non ha il fascino da Principe arabo che aveva Giovanni Alberto, il fratellastro. Non ha l’inconsistenza di Lapo, il procugino minore. E neppure la cattiveria di John, il procugino maggiore. È educato, gentile, riservato, falsamente sorridente (è piemontese...).
Ha savoir-faire, ma tutti lo avremmo con un capitale sopra gli svariati milioni di euro; ha ambizione, come non puoi non averne se porti quel cognome; ha dedizione al lavoro, tipicamente sabauda. Ma non basta. Infatti è anche permaloso (se gli pesti un piede sul pullman se lo ricorda a dieci campionati di distanza). Insicuro (non ti guarda mai negli occhi). Infantile (da cui l’impietoso giudizio di Gigi Riva: «Andrea Agnelli è il bambino che porta il pallone e che pretende non solo di giocare sempre, ma anche di scegliere le squadre»). Cinico (tanto da esaltare il detto di Boniperti «Vincere è l’unica cosa che conta»). Cocciuto (da cui lo slogan-tormentone «Fino alla fine»: «Siamo gente della Juventus, fino alla fine», «Ti amo fino alla fine, «La Juve prima di tutto, fino alla fine», «Lottare sempre, fino alla fine»).
Poi, però, come in ogni partita, bisogna partire dall’inizio.
Sempre primo in tutto, a partire dalle lettere dell’alfabeto, «A.A.», Andrea Agnelli ha avuto un’infanzia e una vita senza sfumature né compromessi. O bianco, o nero. Nato a Torino, campionato 1975-76 (sfortunatamente vinto dal Toro, che lui con immagine raffinata chiama La Vacca), segno zodiacale Sagittario, meta uomo metà zebra, appollaiato sui rami di un intricato albero genealogico fra Umberto Agnelli e Allegra Caracciolo, ma con Antonio Giraudo come secondo «padre», perché, come diceva perfidamente lo zio, l’Agnelli con la A maiuscola di Avvocato, «i parenti, a differenza degli amici, non puoi sceglierteli»; prima parola pronunciata «Zoffgentilecabrini», ricordi d’infanzia che si perdono nelle brume del Mito e di Ël Vilar ëd Perouza («Ho i pantaloni corti, sono a Villar Perosa con papà. È l’estate del 1982, ho sette anni e l’Italia ha appena vinto i Mondiali. Andiamo su e mio padre mi chiede accanto a chi mi voglio sedere. Paolo Rossi, gli dico. È cominciato così...», e non sappiamo come finirà), lontani trascorsi da calciatore dilettante (ruolo di difensore, fedele al motto «Il miglior attacco è la difesa»), studi a Oxford (St. Clare’s International College) e Milano (Università Bocconi), e poi la gavetta. Dorata. Da Turin al mondo: alla Iveco-Ford di Londra, poi alla Piaggio, quindi all’Auchan di Lille e alla Schroder Salomon Smith Barney di Londra, la Ferrari, la Uni-Invest a Parigi e infine l’assunzione alla Philip Morris International di Losanna, ramo hospitality. Quindi nel 2007 costituisce la holding finanziaria «Lamse» una crasi fra La Mandria e il Sestriere, i luoghi degli affetti e dei ricordi, poi nel 2004 entra nel board della Fiat, nel 2006 è consigliere dell’Exor, e nel 2010 diventa Presidente della Juventus Football Club. Goooooool! Il presidente-tifoso, il Massimo Moratti 2.0, il tifoso-bambino, amico di tutti i calciatori, che li abbraccia, gli dà del tu, li invita a casa, gli fa fare il padrino dei suoi figli... Il presidente padre ma non padrone.
Padre di troppi, padrone di nulla, monociglio e poliglotta (parla con l’immancabile erre arrotata l’italiano dei piemontesi, il francese degli italiani, l’inglese dei manager e il dialett turines, neeeeeeh), Andrea Agnelli soffre due cose. Il modulo a zona. E il fatto che l’Avvocato avesse indicato i suoi nipoti e non lui come successore dell’Impero, rimanendo una minoranza fra i non Agnelli, schiacciato dall’erede designato del patrimonio, il lupo John Elkann. E ora che Andrea per l’inchiesta sulle plusvalenze fittizie e il falso in bilancio si è dimesso da tutte le società del gruppo come precipitare da diciannove tituli a nessuna carica – per lui è una doppia sconfitta.
Poi, sulle vittorie non si discute. Del resto in Italia il calcio è uno sport dove si gioca in undici e alla fine vincono gli Agnelli. E lui – il presidente più titolato e più antipatico della storia bianconera – ha trionfato: nove scudetti, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane... «Vincere aiuta a vincere e a trovare la mentalità vincente, ma è anche dalle sconfitte che si cresce e si deve imparare».
A proposito. Personalissimo triplete degli insuccessi di Andrea Agnelli. Uno: le due finali perse in Champions League. Due: l’affaire Ronaldo, esaltante per l’immagine, devastante per il bilancio. Tre: il naufragio hybris e fatuità – della Superlega dei super ricchi e dei super arroganti.
Domande. Ma Andrea Agnelli è stato usato o davvero credeva di essere un Lancillotto coraggioso contro il sistema Fifa-Uefa? Ma anche: è più antipatico Andrea Agnelli nella sua agnellitudine o Massimiliano Allegri nella sua livornitudine? Davvero Andrea Agnelli credeva che con Cristiano Ronaldo potesse vincere una Champions? Ma essere un Agnelli controcorrente significa uscire dal gregge? Andrea the Lambs. Il silenzio degli innocenti. Il silenzio degli Agnelli. E soprattutto: gli Agnelli, sono innocenti?
Poi, cosa più importante di tutto, l’amore. «La Juventus è conosciuta come la fidanzata d’Italia. È probabilmente la donna con cui ognuno vorrebbe stare». Lui, il presidente della Juventus, sposato all’inglese Emma Winter (da cui ha avuto due figli, Baya e Giacomo Dai), a un certo punto vuole stare con lei, la modella Deniz Akalin – Vecchie Signore e milf turche -, la moglie del suo migliore amico, uno con cui ha lavorato per anni fianco a fianco, e dalla quale ha altre due figlie: Livia Selin e Vera Nil. Mancano Ridge, Brooke e Sheila. La Juventiful... Come non amarla?
Cose che Andrea Agnelli non ama: le conferenze stampa, Aleksander Ceferin, Diego Della Valle, la Figc, essere chiamato «l’Agnellino», chi ha accettato passivamente la mortificazione di Calciopoli. La Procura di Torino.
Cose che Andrea Agnelli ama: il Barbaresco, il circolo golfistico Royal Park, citare la frase di Jack Welch, boss di General Electric: «Cambia prima di essere costretto a farlo». Ma soprattutto essere Andrea Agnelli.
E per il resto, caro ex presidente, cambia – se puoi – prima di essere costretto a farlo. E come dicono sempre tutte le tate a tutti i rampolli della casata, «Don’t forget: you are an Agnelli». Fino alla fine.