La Lettura, 26 marzo 2023
Su "Legittima vendetta" di S.A. Cosby (Rizzoli)
Ike Randolph, protagonista di Legittima vendetta (Rizzoli), romanzo senza tregua di S. A. Cosby, è nero ed è un duro dalla fedina penale chilometrica e con molti anni passati in galera per aver reso giustizia a un amico morto. Era una questione di onore. E sempre per questioni di onore in carcere ha imparato a farsi rispettare. Ike è una macchina per uccidere.
Uscito di prigione, Ike ha giurato di non ricadere più nei vecchi errori. Gli brucia di aver lasciato per lungo tempo soli, come una vedova e un orfano, la moglie Mya e il figlio Isiah. Gli brucia di non essere stato presente quando suo figlio cresceva. Gli brucia che la moglie abbia dovuto scontare la sua stessa pena.
In carcere, oltre a raffinare la sua arte marziale, Ike ha imparato un mestiere. Ora è un giardiniere, ha avviato una impresa, assunto dipendenti e non se la passa male, anche se è sempre un tipo ombroso, di poche parole e la sua mole e il suo sguardo continuano a mettere paura. Il figlio Isiah è diventato un cronista che si batte con generosità per le cause più spinose (quelle evitate con cura dai suoi colleghi) e si è sposato. Il matrimonio, non molto gradito da Ike, ha inasprito i rapporti, già non buoni, tra i due. Poi, d’improvviso, il figlio è stato barbaramente ammazzato in circostanze misteriose (con un surplus di sfregio, gli hanno sfigurato la faccia a colpi di pistola). E, come si dice in questi casi, la polizia brancola nel buio.
Mi accorgo, mentre sto refertando la vita di Ike, di avere assunto senza volerlo il tono, il ritmo (il cursus come dicevano i vecchi maestri) usati da Maria De Filippi in C’è posta per te. In effetti il caso umano di Ike Randolph potrebbe essere di quelli che mandano in brodo di giuggiole il pubblico televisivo. Non fatevi trarre in inganno, S. A. Cosby non ricorre mai allo sciacquamorbido televisivo (come lo chiamava il grande Sergio Saviane), la sua letteratura è scritta con il rasoio (Razorblade Tears, «Lacrime di rasoio», è il titolo originale) e, a volte, è scritta direttamente con il machete: «Quando cadde a terra, l’intestino crasso e quello tenue presero a srotolarsi come un nastro di gomma da masticare intinto nel merlot».
Cosby è uno scrittore che appartiene alla schiatta più nobile degli scrittori americani (non è uno che cincischia per pagine e pagine alla Franzen, tanto per intendersi). Prima di trovare la sua vocazione, ha fatto tutti i mestieri secondo il cliché degli scrittori americani di un tempo: il buttafuori, l’operaio, il giardiniere, il montatore di palchi e l’addetto alle pompe funebri. Che è un modo per vivere più vite. Spesso hanno paragonato Cosby a Raymond Chandler per un certo gusto per il linguaggio figurato («La guancia ferita gocciolava come quella di una sposa in lacrime abbandonata sull’altare»), ed è vero, ma è un Chandler riscritto in eastwoodese puro (nel senso di Clint). E c’è più di un’eco dello humour di Sergio Leone quando, a proposito di una pistola, uno degli eroi di Cosby sentenzia: «Meglio avercela e non doverla usare che doverla usare e non avercela».
L’autore della battuta leonina è Buddy Lee Jenkins, l’altro protagonista di Legittima vendetta. Lui non è nero come Ike, è bianco ed è stato anche un bell’uomo (somigliava all’attore Sam Elliott, quello con i baffoni che esordì in Butch Cassidy). Se Ike ha qualcosa di biblico («Ike emerse dalle tenebre come una Nemesi in carne e ossa»), Buddy Lee somiglia a uno stand up comedian che per una buona battuta passa sopra il cadavere di sua madre. Le loro carriere sono però simili come due gocce d’acqua (o di sangue). Buddy ha spacciato droga e si è macchiato di ogni delitto, si è fatto i suoi anni di carcere e sa che, anche quando sei uscito, non smetti mai di essere un detenuto. La moglie Christine («bella come un tramonto», chandlereggia Cosby) ha mollato lui e il figlio Derek bambino e si è messa con un pezzo grosso, un politicante (siamo a Richmond, Virginia). Buddy Lee, che la ama ancora (forse ricambiato nonostante tutto?), non può nemmeno darle troppo addosso perché anche lui divorzierebbe da sé stesso.
Buddy Lee non è il tipo da potare i giardini dei ricchi come fa Ike. Lui ha una sua coerenza, vive in una roulotte lercia, beve come una spugna e si è accorto di recente di sputare sangue quando tossisce. Come Ike anche Buddy Lee non era in buoni rapporti con il figlio (che era un cuoco) e non ha gradito il suo matrimonio. E come Isiah, il figlio di Ike, anche Derek, il figlio di Buddy Lee, è stato ucciso in circostanze misteriose, il viso sfregiato a pistolettate. Pure in questo caso la polizia annaspa nel buio.
Pur avendo frequentato per anni ambienti malavitosi contigui, Ike e Buddy Lee non si sono mai conosciuti. Dopo un lungo giro le loro vite parallele sono destinate a incontrarsi in un posto improbabile, un cimitero (oppure era il luogo più probabile per gente come loro?). L’agnizione tra i due (per usare un termine classico, aulico e fatale come questo gran romanzo merita) avviene durante una cerimonia religiosa, il doppio funerale di Isiah e Derek che erano sposati e avevano una figlia piccolissima partorita per interposta persona.
Ike e Buddy sono consuoceri di due ragazzi gay finiti come sono finiti e sono nonni di una nipotina che nemmeno conoscevano. Consuoceri in preda al rimorso per il ricordo incancellabile della loro intolleranza, per il senso di colpa provocato dagli scazzi, gli alterchi, le botte, le ingiurie che hanno vomitato contro quei due figli traditori della virilità. E ormai sono troppo vecchi e stanchi per obbedire alla legge del taglione dando la caccia ai misteriosi assassini, non resta loro che leccarsi le ferite, pentirsi e dolersi. Ma poi qualcuno oltraggia la tomba dei due sposi con scritte cubitali in vernice spray verde fluorescente: «NEGRO FROCIO MORTO. AMANTE MORTO DEL NEGRO FROCIO».
Possono Ike e Buddy Lee stare con le mani in mano mentre si infierisce sui loro ragazzi anche da morti? Certo non sono stati padri amorosi come l’Howard Cunningham di Happy Days (citato nel libro come modello irraggiungibile di padre americano). Però in qualche modo possono ancora tentare di riparare ai torti che hanno commesso. E c’è una maniera sola per farlo: vendicare Isiah e Derek.
Ike e Buddy Lee sono nati sotto una cattiva stella (Born Under a Bad Sign di Albert King è il blues preferito dalla controfigura di Sam Elliott), una stella che brillerà di luce ancora più fredda e cattiva per coloro i quali incontreranno sulla loro strada di giustizieri. Lo impareranno a loro spese i giovinastri di una banda che ha come motto «Sangue, Onore e Razza!» e ha avuto a che fare con il duplice omicidio. Ma non saranno gli unici su cui si abbatterà l’ira funesta dei consuoceri. Sono soltanto in due, e variamente acciaccati, ma sono ancora capaci di provocare «una cazzo di carneficina» che, in confronto, Il mucchio selvaggio è «una serenata di grilli» (il leggendario film di Sam Peckinpah è omaggiato con una citazione esplicita nel romanzo). La carica distruttiva di Ike e Buddy Lee va oltre la vendetta come spiega con un sorriso mesto Ike: «Vendetta? No, odio. Alla gente piace parlare di vendetta manco fosse una cosa virtuosa, ma è solo odio vestito meglio». Un odio armato dal sentimento più bello: «Una calibro 45. Una mazza da baseball con dei chiodi. Un compattatore. Buddy Lee si rese conto che tutto poteva diventare un’arma, se ti ci dedicavi abbastanza. Persino l’amore. Soprattutto l’amore».
Per cercare gli autori del massacro dei loro ragazzi Ike e Buddy Lee non ricorrono a mezze misure. C’è da spezzare un dito a un testimone reticente? Lo spezzano. C’è da tritare un cadavere per non lasciare tracce? Lo tritano. Lo stesso Buddy Lee è sorpreso da come le sue doti di macellatore siano rimaste intatte pur non avendole più esercitate da tempo: «La velocità con cui era tornato a galla il suo talento per smaltire cadaveri avrebbe forse dovuto stupirlo, ma neanche più di tanto, in fin dei conti. Fare a pezzi il tuo primo corpo è un’esperienza rivoltante. Fare a pezzi il secondo è un fastidio. Quando arrivi al quindicesimo basta inserire il pilota automatico».
Legittima vendetta è insieme un giallo d’azione, un western (non in abiti d’epoca) alla Peckinpah e alla Leone, un blues in prosa, una parabola evangelica sui padri e i figli, un Chandler ironicamente rivisitato in salsa Lgbtq, ma è soprattutto il racconto di un’amicizia virile, quella tra i due consuoceri, che tra una resa dei conti e l’altra amano filosofeggiare chiedendosi se è più facile essere nero o essere gay oppure se si possono definire amici due persone che ammazzano insieme un uomo (e concludono: amici no, però buoni conoscenti certamente).
Alla fine, l’indagine conduce Ike e Buddy Lee sulle piste di una creatura misteriosa e bellissima, Tangerine, che è la porta spalancata su un inferno di pura marca chandleriana (lasciatemelo dire un’ultima volta), ma in quell’inferno i nostri eroi devono andare fino in fondo anche se, come dice Buddy Lee: «Non lo sa mai nessuno, che l’ultima volta è l’ultima volta, lo scopri quando ormai è tardi... È per quello che la vita ogni tanto fa schifo».