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 2023  marzo 26 Domenica calendario

Chiedi chi era Enzo Jannacci

Geniale. È il primo aggettivo, la prima definizione da aggiungere al nome di Enzo Jannacci. Il 29 marzo sono dieci anni dalla sua scomparsa e non c’è amico, collega o lo stesso figlio Paolo, che subito dopo un sospiro, magari una lacrima sottaciuta, non scovi in “geniale” la risposta giusta per definire il cantautore milanese. Poi in perfetto “stile Jannacci” torna il sorriso, la sensazione di baldoria, il racconto di un gruppo di artisti in grado di cercare la leggerezza senza cancellare la consapevolezza sociale, in grado di mantenere un equilibrio non ostentato, solo vissuto, quasi folle, pudico di gesti espliciti (“Enzo operava gratis chi non poteva permetterselo”), ribelle all’evidente (“papà da bambino, un pomeriggio, decise di creare una piscina in casa; sigillò con lo stucco tutto il bagno, aprì i rubinetti e alla fine allagò le scale del condominio”); goliardico nelle nottate milanesi, con un suo amico, volutamente anonimo, che ricorda: “Eravamo sui Navigli. Battute, scherzi, il nostro repertorio. Quella serata finì molto tardi. E quando Enzo se ne rese conto, si tuffò nei Navigli. Perché? Per tornare a casa e dire ‘non sapete cosa mi è successo’ ed evitare domande”. A dieci anni dalla scomparsa abbiamo chiesto ad alcuni amici chi era Enzo Jannacci.Dalia Gaberscik, chi era?
Il migliore amico di papà; era geniale, mezzo matto, la normalità non era la sua cifra.
In cosa folle?
(Stupita) In tutto, anche nel gesto, difficile da ripetere, di come prendeva la tazzina del caffè; (pausa) ogni incontro con lui diventava, all’improvviso, una performance.
Se pensa a suo padre e lui insieme…
Li vedo seduti in platea a Venezia, al Goldoni, mentre studiano la regia di Aspettando Godot. Papà serio, concentrato. Enzo uno scapestrato, cambiava in continuazione, gesticolava, parlava a voce alta…
E…
Papà rideva, accanto al suo amico: solo con lui si divertiva così; (ci pensa) quando papà era in tournée tornava a casa solo il lunedì, e neanche tutti, dipendeva dalla distanza del teatro, poi l’estate si rinchiudeva per scrivere il nuovo spettacolo. Insomma, era sempre impegnato e manteneva una vita monacale. Quando arrivava Enzo la liturgia mutava e vedevo due adulti trasformarsi in ragazzini in gita.
Jannacci era medico. Suo padre chiedeva consigli?
Diffidava e glielo diceva.
Canzone preferita?
Sono legata ai brani degli anni Sessanta, quando si divertivano da matti, vestiti come scemi. Però se devo scegliere dico Una fetta di limone.
Diego Abatantuono, primo pensiero su Jannacci.
Per me Enzo è come il Milan: se qualcuno mi chiede quando sono diventato milanista, non lo ricordo; comunque andavo al Derby ed era lì, poi quando ho iniziato a salire sul palco vedevo lui e Beppe Viola, in platea, che ridevano; (pausa) il pubblico poteva pure restare il silenzio, ma avere loro due applaudire con Cochi e Renato è stato un incentivo per la carriera.
Cosa le ha insegnato?
All’inizio con Enzo tacevo e imparavo; lui è uno dei più grandi cantautori italiani, uno che ha inventato un genere e poi era un talent scout: sapeva riconoscere la qualità e si cibava dell’originalità altrui, tanto da scoprire molti di noi.
Un brano che ama.
Ne cito due e sono già stretto: Ti te se no e Vincenzina.
Jacopo Fo, se uno le dice “Jannacci”…
Penso a papà, Enzo, Cochi e Renato a Cesenatico. Era estate. E utilizzavano l’aula di un asilo nido per lavorare: li ricordo seduti su delle seggiole da bambino, piegati su tavoli troppo bassi per loro, mentre si impegnavano per comporre.
E…
Un giorno decidono di andare al mare, con un problema: gli sono bastati pochi minuti di ombra e spiaggia per farsi conquistare dalla noia. Così papà si alza, va sul bagnasciuga, mira l’orizzonte e inizia: “Guardate, guardate, c’è una nave che sta affondando”. Si alza Enzo, lo raggiunge: “È vero, è vero!”. A quel punto pure Cochi e Renato si piazzano accanto ai due. Insomma, poco dopo circa 200 persone si sono radunate e alcuni hanno iniziato a indicare il punto del presunto naufragio.
Puro teatro.
Lì hanno creato una suggestione collettiva; (sorride) come Gaber, anche mio padre nella quotidianità era serio, e senza la complicità di Enzo non si sarebbe mai piazzato sul bagnasciuga in modalità-folle.
Gaber evitava le sue cure, voi?
Per me era un chirurgo strepitoso, poi spesso operava chi non aveva soldi o gli pagava l’ospedale; (ride) Paolo Rossi ha rischiato di morire a causa della sua temuta bomba.
Cos’è?
Chieda a Paolo.
Di Jannacci è celebre la parlata velocissima.
Quando telefonava a casa, e rispondeva mamma, sentivo le urla: “Che cazzo hai fattoooo? Cosa ti sei preso? Sei un incosciente!”. Sbroccava, era preoccupata che utilizzasse stupefacenti, lui che poi operava.
Invece.
Ma no, era così, andava velocissimo; (sorride) per evitare queste reazioni, con mamma cercava di scandire.
Il suo brano preferito.
Con Vincenzina e la fabbrica piango, poi aggiungo El purtava i scarp del tennis.
Paolo Rossi, cos’è la bomba?
Un mistero, in realtà nessuno sa cosa mettesse dentro.
Cioè?
Quella sera ero impegnato in teatro, ma stavo male, anzi malissimo: “Enzo non ce la faccio”. “Non ti preoccupare, ci penso io”. Torna. “Bevi tutto e starai benissimo”. All’improvviso mi è arrivata una schicchera, sul palco volavo, peccato che una volta finito lo spettacolo non mi sono placato e allora ho continuato a improvvisare in mezzo alla strada; (pausa, ride) alle quattro del mattino sono finito in ospedale.
Jannacci per lei?
Non ho voglia di ricordarlo.
Perché?
È con me ogni sera che salgo sul palco, per quelle due ore è al mio fianco; (pausa) questo è il privilegio di fare teatro ed è un suo insegnamento.
Tradotto?
L’altra sera, alla fine dello spettacolo, mi è venuto a trovare il mio compagno di banco delle medie. Non l’ho riconosciuto. Ci siamo fermati, lui mi ha parlato dei problemi legati all’età, a quel punto l’ho stoppato: “Per fortuna sono un teatrante”. “E allora?” “Prima ho interpretato una ragazzina di 15 anni. E in quel momento ne avevo realmente 15”. Questo è il privilegio del teatrante e questo me lo ha svelato Enzo; (pausa) non voglio aggiungere altro, non voglio uscire dall’incanto.
Il suo brano preferito.
Chissà se è vero e le ultime parole che ha scritto prima di farci bye bye: quel foglio me lo ha consegnato il figlio e ogni sera le leggo. Perché lui è con me.
Cochi Ponzoni, Jannacci per lei.
Con lui ho condiviso dieci anni meravigliosi della mia vita, lo consideravo un fratello maggiore; con lui non solo condividevamo il palcoscenico, ma la vita privata, le vacanze insieme.
Com’era?
Oltre alla genialità era un grande musicista: pochi lo sanno ma si era diplomato al conservatorio; poi era un poeta e un bravo medico.
La dote maggiore.
La capacità di partire da un’apparente stupidaggine per creare una grande canzone; (pausa) per me e Renato, Enzo è stato un punto di riferimento, ci ha regalato la sua amicizia e ci ha insegnato la disciplina; e poi ci passava testi importanti da leggere come Mrozek, Ionesco o gli autori russi.
Maestro di vita.
All’inizio teneva anche i contatti per noi, ci aiutava nella produzione e senza mai interessarsi a un ritorno economico. Era solo per amicizia. Ed è grazie a lui se siamo riusciti a firmare per la Rca, a Roma; ricordo un appuntamento dai discografici: Enzo porta Vengo anch’io, no tu no, e noi La gallina. Entrambi i brani li ascolta un celebre conduttore radiofonico e resta totalmente inorridito.
E…
Organizzano una riunione con tutti i dirigenti, e lì Enzo parte con un monologo di dieci minuti, un monologo completamente incomprensibile, una sorta di supercazzola in stile Amici miei, dove ogni tanto si comprendeva un vocabolo, solo uno, fino a concludere il tutto con un moto d’imperio: “Per noi va bene così”. Discorso chiuso.
Aveva ragione Jannacci.
Eccome, poi si sono tramutati in due grandi successi anche se ancora oggi né io né Renato abbiamo capito del perché La gallina è così amata (cambia tono). Davvero, Enzo ci seguiva solo per amore, una volta ho sentito una telefonata paradossale, nella quale rifiutava un paio di ingaggi importanti e solo “perché devo stare con Cochi e Renato”.
Vi interessava la politica?
In quegli anni tutto era politica; (ride) allora potevi cadere in qualunque situazione: ci ingaggiano per una serata ad Arezzo, era di lunedì, quindi giorno di pausa, e con un buon cachet. Ci ritroviamo sul palco di un circolo culturale, io e Renato iniziamo, ma neanche una risata. Gelo in sala. Tocca a Jannacci che intona Il primo furto non si scorda mai, in cui c’è una strofa che recita “quel tacchino micidiale era un’aquila imperiale”, con chiaro riferimento ironico al fascio.
E qui applausi?
Al contrario, iniziano a piovere monetine e insulti sempre più pesanti, un crescendo, fino a quando Teocoli, presente in platea, si lancia in una scazzottata incredibile. Da solo. E conclusa con un bel viaggio insieme alla celere.
Addirittura.
Non avevamo capito che quello era un circolo di fascisti che si chiamava “Giovani d’Italia”: eravamo finiti in una trappola.
Che trappola?
Scritturati per umiliarci.
Conferma “l’illusione” di Cesenatico raccontata da Jacopo Fo?
Con Dario che si alza in piedi, si piazza sul bagnasciuga e inizia a gridare di un naufragio all’orizzonte. E siamo stati protagonisti di una grande lezione di recitazione: l’attore deve far credere, credendoci; (cambia tono) quando è morto Enzo è come se avessi perso una gamba.
Il suo brano preferito.
Ti te se no.
Renato Pozzetto, primo pensiero legato a Jannacci.
Tutti noi al Derby: eravamo il “gruppo motore” per l’energia che eravamo in grado di sprigionare; è stato Enzo a portarci su quel palco e dopo averci visto esibire in un altro locale.
Lo avete seguito.
Ognuno di noi si fidava di lui e non solo io e Cochi, ma anche Lino Toffolo, Bruno Lauzi e Felice Andreasi; quanto ci siamo divertiti, nessun orario, giorno prefissato, la fantasia e la sperimentazione senza limiti di contaminazione. Ed Enzo un genio, e oggi più ci penso, più mi manca, e più mi rendo conto del suo livello assoluto, condiviso con una normalità pazzesca.
Legame forte…
Insieme a lui abbiamo debuttato in tv, cantavamo La gallina.
Brano preferito?
Sono troppe le canzoni, non riesco a scegliere.
Massimo Boldi, Jannacci per lei.
Un maestro. Un folle sano. Un genio quasi incompreso.
Da voi compreso.
Da noi amici veniva chiamato “Schizzo”; (sorride) chi lo conosceva era pronto alla sua imprevedibilità, alla sua capacità unica di andare oltre il pensiero comune e di creare delle canzoni che sono tutt’oggi delle opere d’arte impossibili da replicare; (sorride) come artista sublime, come chirurgo non lo so: col cavolo che mi sono fatto operare.
Il suo brano preferito.
Oltre a quelli che ho scritto con lui, dico Vincenzina e la fabbrica. Che poesia.