La Stampa, 26 marzo 2023
Fosse Ardeatine, perché non vanno dimenticate
Ahimè, è vero: erano tutti italiani i protagonisti delle Fosse Ardeatine. Lo erano il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, il comunista Gioacchino Gesmundo, l’azionista Pilo Albertelli e gli altri 332 fucilati con loro e fatti esplodere nella cava; lo erano Rosario Bentivegna e i gappisti di Via Rasella che fecero l’attentato; lo erano (italianissimi) il questore di Roma Pietro Caruso, il ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, il capo del reparto speciale Pietro Koch, e quanti altri compilarono l’elenco dei detenuti da mettere a morte. Tutti italiani.
Dirò di più: tutti ugualmente convinti di difendere la patria. E convinti di difendere la “loro” patria erano anche i soldati tedeschi morti in via Rasella e quelli che, subito dopo, spararono alle vittime delle Fosse. E allora? Tutti assolti perché tutti in “buona fede”?
Allora no. Allora partiamo dalla considerazione che “italiano”, “patria”, “patriota” sono astrazioni che non significano nulla al di fuori del contesto storico in cui si esprimono. Sono categorie buone per la propaganda, non per la comprensione del passato. Le vicende tragiche del marzo 1944 romano altro non sono che l’espressione esasperata della guerra civile che allora si combatte in Italia: da un lato ci sono le forze della rottura, quelle che vogliono dire basta alla guerra, all’alleanza con la Germania di Hitler, al razzismo, al totalitarismo; dall’altro ci sono le forze della continuità, quelle che in nome di un frainteso senso dell’onore e della fedeltà alla parola data si schierano accanto alla Wehrmacht e diventano collaborazioniste dell’occupazione germanica.
Sappiamo com’è andata, con la vittoria delle forze della rottura legate alla prospettiva democratico-liberale: ci hanno regalato questi 80 anni di mondo occidentale, pieno di contraddizioni, di vizi, di limiti, ma “viva Iddio” che siamo cresciuti qui. Sappiamo come sarebbe andata se avessero vinto le forze della rottura legate alla prospettiva rivoluzionaria e ai modelli delle democrazie popolari filosovietiche. Ma sappiamo anche (lo sappiamo bene!) come sarebbe andata se avessero vinto le forze della continuità: avremmo avuto un’Europa delimitata non dai confini tra gli Stati, ma dalla gerarchia tra i popoli, con gli Ariani destinati al comando, i Mediterranei e gli Slavi al lavoro, gli Ebrei e chissà quali altri all’estinzione.
Il tema, allora, non sono l’italianità e l’innocenza delle vittime, ma le ragioni per cui ci sono stati un attentato (strategicamente discutibile, e che fu per questo oggetto di discussione all’interno del fronte resistenziale) e una rappresaglia furiosa, moralmente inaccettabile. Le ragioni riconducono alla colpa originaria della Rsi, che è quella di aver determinato la guerra civile, aver insanguinato il Paese occupato dalla Germania per venti mesi, aver diviso profondamente gli Italiani. Lo ha scritto Renzo De Felice, uno storico insospettabile di indulgenza alla “vulgata” storiografica: «La costituzione della Rsi fu la causa della guerra civile: senza la Rsi, la Resistenza avrebbe avuto un carattere essenzialmente nazional-patriottico, di lotta di liberazione contro l’occupante tedesco». A partire dalla rappresaglia di Ferrara per la morte del federale Igino Ghisellini (fomentata da Pavolini e dagli elementi più radicali nel novembre 1943), sino all’esito drammatico delle esposizioni di piazzale Loreto, la tensione della guerra civile assorbe le maggiori energie della Rsi. Italiani i fucilati delle Fosse Ardeatine, dunque, e italiani quelli che collaborarono con i loro carnefici. Convinti delle proprie ragioni, gli uni e gli altri, come in tutte le guerre civili. Ma profondamente diversi.
Lo ha detto molti anni fa Italo Calvino, partigiano garibaldino dal dicembre 1943 alla Liberazione. Nel “Sentiero dei nidi di ragno”, pubblicato subito dopo la fine della guerra, egli scrive: «Quel peso di male che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra». Al di là degli uomini e dei loro comportamenti, c’è la storia, appunto. E la storia dice che essere italiani nelle carceri di via Tasso era cosa diversa dall’essere italiani negli uffici del questore Caruso. Per questo si ricordano le Fosse Ardeatine, tanti decenni dopo. E per queste differenze devono essere ricordate e non annegate in un concetto vago di “italianità”, tanto generalista quanto fuorviante.