Corriere della Sera, 26 marzo 2023
Intervista a Massimo Ranieri
«Sono nato lavorando». Massimo Ranieri e la sua lunga storia, nuovamente sul palcoscenico del Teatro Sistina con il nuovo spettacolo Tutti i sogni ancora in volo, dal 29 marzo al 2 aprile: già sold out. Più che sognare, il cantante-attore continua a essere molto desto in palcoscenico e torna a dialogare con il suo numerosissimo pubblico.
Una storia che inizia da bambino...
«Ho iniziato a lavorare a 7 anni, facendo tutti i mestieri possibili: il garzone, il barista, il panettiere, e poi mi esibivo con la mia vocina nei ristoranti e le mance erano preziose... insomma, mi arrangiavo perché in casa eravamo tanti: 8 figli più due genitori, 10 persone in una sola stanza. In fondo al letto grande di papà e mamma, dormivamo io e mio fratello, poi c’erano tre lettini per le sorelline femminucce... e poi c’era un cesso. Quel bambino di tanto tempo fa ogni tanto bussa alla mia porta quando non ho tanta voglia di lavorare. Mi dice: forza, muoviti, vai a fare le serate... È lui che mi dà la spinta a proseguire e gioca con i miei spettacoli, i viaggi, gli alberghi, gli applausi, gli autografi...».
E questo che sta per iniziare è un nuovo percorso di coraggio?
«Assolutamente sì, come al solito senza paracadute. Passano gli anni e le riflessioni sono tante. Avvicinandomi ai miei 72 anni, voglio che il pubblico sappia che ho bisogno di raccontarmi, oltreché di cantare: descrivere i momenti belli e i dolori dell’anima. In questo spettacolo ho setacciato la mia avventura umana e professionale, tirando fuori gli errori, le vittorie, gli amori belli finiti male, le sconfitte che ti fanno chiudere lo stomaco e non riesci più neanche a mangiare, vorresti nasconderti in casa, però devi comunque fare buon viso a cattivo gioco e reagire...».
Sono stati tanti gli amori perduti?
«Bè, sì: come dar torto a una donna che ti lascia perché io penso solo al lavoro e si sente trascurata? Ma il mio impegno è sempre stato quello di far star bene i miei genitori, i fratelli, le sorelle... il dover affrontare la mannaia dell’affitto, del piatto a tavola, del risolvere i debiti familiari... Questa è la mia vita, un cammino dove speri che ci sia sempre il sole, ma arrivano le nuvole, la pioggia, e se non riesci a ripararti ti bagni... poi torna il sole».
Papà Umberto e mamma Giuseppina erano contenti di avere un figlio artista?
«Mamma non ci credeva, era una donna con i piedi per terra. Papà mi incitava a provarci, aveva intuito il mio potenziale, anche perché da ragazzo suonicchiava la tromba, e sono certo di aver ereditato l’amore per la musica proprio da lui, dal suo dna. Però la volta che firmai il mio primo contratto, a soli 12 anni, con una casa discografica, a momenti sviene...».
Per la contentezza?
«Più che altro per le 300 mila lire che mi avevano dato come acconto. Lui guadagnava a malapena 30 mila al mese! Entrammo in ascensore e quando spinse il pulsante per scendere, gli cedettero le gambe. Inoltre non sapeva dove nascondere quel pacco enorme di soldi: se li infilò dentro la tasca interna della giacca, era talmente rigonfia, che sembrava una tetta... Temeva lo rapinassero. Ma grande fu poi lo stupore di mia madre... soprannominata la carabiniera».
Cosa vi disse?
«Quando papà mette i soldi sul tavolo, ci guarda storto e esclama: dove li hai pigliati ‘sti soldi, l’hai rubati? E mio padre la rassicura: no, Peppi’, so’ i soldi dell’anticipo. Ma lei non era per niente entusiasta, perché per suo figlio desiderava un posto fisso e non un lavoro precario da cantante».
Un cantante, poi attore, che oltretutto cambia nome: da Giovanni Calone a Massimo Ranieri.
«Il primo pseudonimo fu Gianni Rock, il mio idolo era the King of Rock, Elvis Presley. Col passare del tempo e la mia graduale affermazione, i miei discografici osservarono che di Gianni famosi ce n’erano troppi. Siccome una volta gli avevo espresso la mia felicità per essermi esibito davanti al Principe Ranieri di Monaco, mi consigliarono di utilizzare Ranieri come cognome e Massimo, al posto di Gianni, suonava meglio».
La vera svolta attoriale con Giorgio Strehler?
«Come negarlo! Io non ho mai frequentato accademie, la mia scuola è stata quella napoletana di strada. Poi ho esordito in palcoscenico con Patroni Griffi e Giorgio De Lullo, miei maestri, ma furono proprio loro a consigliarmi di lavorare con il mitico regista del Piccolo. Fortuna volle che fu proprio lui a farmi cercare per il ruolo di Yang Sun nell’Anima buona di Sezuan: mai avrei immaginato di essere diretto dal “teatro fatta persona”. L’emozione era talmente grande che una volta, durante le prove, assalito da un attacco di panico, decisi di scappare. Presi il taxi per l’aeroporto ma, quando arrivai là e stavo per scendere dall’auto, il bambino che è in me intimò: se chiudi lo sportello, è finita. Dissi al tassista di riportarmi al Piccolo».
Un artista a 360 gradi, tra musica, teatro, cinema. Pesa la maturità dell’età che avanza?
«Non voglio diventare maturo, voglio continuare a divertirmi fino a quando la forza fisica, psichica mi assisteranno. La maturità? Non verrà mai, è così bello questo gioco e ha regalato tante soddisfazioni a Giovanni Calone».