Corriere della Sera, 26 marzo 2023
La Germania all’italiana
Nella Prima Repubblica, ma è successo anche nella seconda e nella terza, quando un partito della maggioranza invocava la «verifica» era spesso il preludio alla crisi di governo.
La Germania non è (ancora) l’Italia. Ma nel contesto di aperta polemica e posizioni inconciliabili che sempre più segnano la cosiddetta maggioranza del semaforo, il «Koalitionsausschuss», una verifica appunto, che si celebra oggi a Berlino spinge molti analisti a ipotizzare perfino l’impossibile scenario di una drammatica rottura. «Dobbiamo pensare l’impensabile», dice la politologa Andrea Römmele, della Hertie School of Government.
È solo una suggestione, naturalmente. Ma quanto succede nel governo del sempre più silente Olaf Scholz è una cosa inaudita in Germania. Du jamais vu, direbbero i francesi. Che paralizza l’esecutivo, con 30 disegni di legge bloccati per i veti reciproci tra socialdemocratici, verdi e liberali. E proietta l’instabilità interna in Europa, dove la Germania da catalizzatore del consenso ora si mostra priva di bussola, distinguendosi invece per improvvisi voltafaccia e ripensamenti dell’ultima ora, quasi fosse l’Ungheria di Orbán.
Tant’è. Dopo un anno in cui la guerra in Ucraina ha stravolto le priorità e fatto da collante, coprendo le differenze, i tre partiti della maggioranza hanno scoperto le carte e appaiono sempre meno disposti al compromesso.
«Non può essere che in una coalizione per il progresso un solo partito si faccia carico dei passi in avanti, mentre gli altri sono occupati a impedirli», ha detto pochi giorni fa il vicecancelliere e ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck, in un attacco frontale ai suoi colleghi. Nel mirino del responsabile della transizione ecologica sono soprattutto la Fdp e i suoi ministri, in primis quello delle Finanze Christian Lindner, che in nome della rediviva disciplina di bilancio frena tutte le iniziative sponsorizzate dai Verdi in tema di clima e ambiente.
Così, mentre a Bruxelles il ministro liberale dei Trasporti Volker Wissing ha tenuto fino a ieri in ostaggio l’accordo già fatto sul bando ai motori a combustione dal 2035, chiedendo l’esenzione per le auto che usano carburante sintetico, a Berlino Lindner bloccava il progetto di Habeck di autorizzare dal 2024 solo impianti di riscaldamento che usano energie rinnovabili, per il quale sono previsti aiuti pubblici. Lindner ha un problema esistenziale: se si votasse domani, i sondaggi dicono che la Fdp rischierebbe di non entrare in Parlamento. Così, per riconquistare l’elettorato moderato, il ministro delle Finanze invoca il «freno al bilancio», ripristinato quest’anno dopo la sospensione dovuta alla pandemia. Dice no al varo dell’assicurazione pubblica per i minori, 12 miliardi di euro destinati ad alleviare il crescente fenomeno della povertà infantile. Respinge la richiesta del ministro socialdemocratico Boris Pistorius, di aumentare di 10 miliardi i fondi per la Difesa. E dato che c’è, fa un oplà a Bruxelles, bloccando all’ultimo minuto l’intesa sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, dicendo che non tiene nel dovuto conto l’interesse tedesco alla disciplina di bilancio. Anche i Verdi però sono in sofferenza. Si considerano difensori del pianeta in missione per la sua salvezza e garanti del ruolo della Germania in questa titanica impresa. Ma rischiano nuovamente di profilarsi come «partito dei divieti».
«C’è una contraddizione tra l’ambizione a diventare partito di massa e quella di rimanere avanguardia della transizione ecologica», dice un ex ministro ambientalista, secondo il quale i Grünen «non sempre hanno il senso del sentimento popolare». Ad aggravare le cose è la rivalità interna tra Habeck, che vorrebbe essere il prossimo candidato cancelliere, e la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, che nonostante la sconfitta del 2021 vorrebbe riprovarci. In mezzo, sta un cancelliere socialdemocratico che ancora una volta preferisce tacere e usa poco o punto le sue prerogative, rifiutandosi di mettere in riga i ministri. Se quello di Olaf Scholz sia stoicismo o assenza di leadership, è una questione aperta. Di certo, egli ha dovuto anche subire da Lindner il blocco del progetto di ampliamento della cancelleria, la celebre «lavatrice» diventata troppo stretta per la crescente burocrazia federale. Un «mostro» da quasi 800 milioni di euro, deciso sotto Angela Merkel, che il ministro giudica «non necessario».
Peccato però che anche Lindner avesse il suo mostro, un ministero delle Finanze nuovo di zecca da 600 milioni di euro, al posto di quello attuale, sito nel cupo ex ministero nazista dell’Aeronautica che fu di Hermann Göring. Quando gli hanno contestato il doppio standard, Lindner ha bloccato anche il suo progetto, promettendo una «revisione». Solo in Germania.