Corriere della Sera, 26 marzo 2023
Intervista a François Hollande
La Francia è in piazza, Macron «parli con i sindacati», dice l’ex presidente Hollande.
«S e i giovani francesi oggi si uniscono alla protesta, non è perché vogliono andare in pensione a 62 anni invece che a 64, ma perché non si sentono ascoltati dal potere e dai partiti, compresi quelli che fanno parte della storia della sinistra, il Partito socialista, e le ali estreme oggi più influenti». L’ex presidente socialista François Hollande, a Milano ospite della Fondazione Feltrinelli per l’inaugurazione della stagione 2023, parla con il Corriere di sinistra francese ed europea, e dell’aria di rivolta che in questi giorni attraversa la Francia.
«La democrazia non è il mercato» è il tema del seminario internazionale curato da Marc Lazar al quale lei ha appena dato il suo contributo. Quello che sta accadendo in Francia è una risposta all’idea che sia il mercato a governare?
«La sinistra non si è mai confusa con il mercato, anche se gli ha fatto delle concessioni. Oggi una larga parte della Francia non contesta solo una riforma, perché è ingiusta e brutale. Denuncia un sistema decisionale che non è più conforme alle aspirazioni del Paese, e che non propone soluzioni per migliorare il funzionamento della democrazia. Di fronte alla collera, l’altra parola chiave adesso è la distensione, il ritorno alla calma».
Le manifestazioni e i cortei sono il segno di una ritrovata vitalità della sinistra?
«Non necessariamente. Questo movimento potrebbe anche andare a vantaggio di Marine Le Pen e del Rassemblement National, se la collera non avrà uno sbocco sociale e politico positivo. Il risentimento potrebbe essere strumentalizzato dal Rassemblement National in senso negativo».
Quale risposta adesso?
«Non credo allo scioglimento dell’Assemblea nazionale né al rimpasto di governo. E neppure a un referendum. La risposta è la ripresa del dialogo con i sindacati. Sono sempre stati più deboli in Francia rispetto a Italia e Germania ma oggi ritrovano un ruolo di primo piano».
Anche lei, da presidente, scavalcò il Parlamento facendo ricorso all’articolo 49.3 che ha provocato la rabbia di questi giorni.
«Ma io avevo, sul testo sul mercato del lavoro, il sostegno della Cfdt, il sindacato riformista diventato il più potente. Non c’era un fronte sindacale unito contro il presidente, come adesso. Questa è la grande novità di questi giorni: la Cfdt che guida il movimento in piazza».
Il presidente Macron è subissato di critiche ma non sta dimostrando coraggio? Non sta forse vivendo il suo momento Thatcher, sostenendo una riforma impopolare ma necessaria?
«Le due situazioni non sono comparabili. La premier Thatcher negli anni Ottanta aveva un mandato del popolo britannico per condurre riforme dure opponendosi ai sindacati. Emmanuel Macron invece non può dire “Mi avete eletto per il mio programma, adesso trasformo il Paese”, perché molti lo hanno votato non per il suo programma ma solo per sbarrare la strada a Marine Le Pen. Poi resta la questione di sapere se questa riforma delle pensioni sia così importante, in questo momento, per il risanamento dei conti pubblici».
Non ne valeva la pena?
«Tante difficoltà, contestazioni, e adesso violenze, per recuperare 10 miliardi. Quando il governo ne ha distribuiti quasi 20 per placare una protesta dei gilet gialli che non ha mai raggiunto l’ampiezza delle manifestazioni di oggi».
Le difficoltà di oggi dipendono anche dal sistema presidenziale francese? Esiste una maledizione dell’Eliseo, per cui chi vi entra finisce per perdere il contatto con la società?
«Certo, una parte del problema è legata alla nostra Costituzione, da quando il presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e concentra su di sé una larga parte del potere. Ma io credo che la spiegazione sia più politica che istituzionale. Il presidente Macron oggi non ha una maggioranza all’Assemblea nazionale, e i grandi partiti che hanno strutturato il dibattito in Francia per decenni si sono indeboliti, per non dire crollati a beneficio delle ali estreme. Un tempo ogni presidente espressione del Partito socialista o della destra disponeva di una base solida, che gli permetteva di comprendere la società e eventualmente convincerla. Oggi, il partito di Emmanuel Macron è evanescente, il presidente ha meno antenne e uomini di fiducia che in passato».
A proposito di Europa, il presidente Macron e la premier Meloni si sono incontrati, a Bruxelles, dopo i recenti dissapori. Vengono da mondi e idee diverse ma a suo avviso riusciranno comunque a collaborare, nei prossimi anni?
«In Europa non si sceglie il governo dei vicini, quindi bisogna lavorare insieme per forza. Ma è possibile avere le stesse intenzioni? Sulla difesa, l’aiuto all’Ucraina, l’energia, possiamo metterci d’accordo tra Italia e Francia? Lo vedremo, ma non c’è tempo per fare l’esame di coscienza agli uni e agli altri, bisogna puntare subito all’obiettivo e giudicare dai fatti. Perché Putin ha due sole speranze per raggiungere i suoi scopi: un cambio di presidente negli Stati Uniti, e la divisione dell’Europa. E visto che sulla scelta del presidente a Washington possiamo influire poco, sull’Europa dobbiamo attivarci sul serio».