La Lettura, 25 marzo 2023
Analisi della pandemia
Houston, abbiamo un problema – ricordate? Oltretutto almeno in parte inatteso. Nel 2021 ci aspettavamo meno morti che nel 2020, anno dello scoppio in Italia della pandemia di Covid-19, e proprio come conseguenza del regredire della pandemia. E così è stato, anche se in misura assai parziale. Nel 2022 ci aspettavamo un ulteriore e più consistente, se non proprio definitivo, balzo all’indietro, un ritorno alla mortalità pre-Covid, alla normalità. Ma non è stato così. Vediamo meglio.
Nel 2020, con 746.146 decessi, ben 100.526 decessi in più rispetto alla media annua del quinquennio pre-pandemico 2015-2019, abbiamo toccato in Italia il livello più alto delle morti dal secondo dopoguerra. Nel 2021, con il calo della forza della pandemia da un lato, e le provvidenze e misure messe in atto per arginarne gli effetti dall’altro, a cominciare dalle vaccinazioni, ci aspettavamo un numero di morti decisamente inferiore, e lo abbiamo avuto, sia pure non delle proporzioni auspicate: i morti sono scesi infatti a 709 mila, 37 mila in meno del 2020, ma pur sempre ben 63 mila in più rispetto alla media annua dei morti pre-Covid. Era lecito confidare, a partire da questi dati, in un ulteriore passo verso il rientro nella normalità con il 2022. Ed è qui che arriva il problema. Perché non solo non c’è stato avvicinamento alla normalità pre-Covid, ma i morti del 2022 hanno addirittura superato quelli del 2021: 713.499 contro 709.035, 4.464 morti in più. Non è tanto quest’ultima cifra, piuttosto modesta, a inquietare, sia chiaro. A inquietare è il fatto che la super mortalità degli anni del Covid, che pensavamo di poter archiviare già con il 2022, potrebbe accompagnarci ben più a lungo.
Sul perché, meglio se evitiamo di pronunciarci, mancando al momento la specificazione dei decessi secondo le cause di morte degli anni 2021 e 2022 (e ci vorrà ancora un po’ specialmente per quanto riguarda il 2022, essendo la rilevazione delle cause di morte tra tutte la più complessa e delicata). Il surplus di mortalità che permane nel 2022, e che addirittura sopravanza quello del 2021, è ancora imputabile soprattutto al Covid, o non piuttosto ad altre cause di morte? O forse ad un mix di Covid e altre cause di morte? Il viaggio per rientrare nella normalità dei livelli di mortalità pre-Covid, potrebbe essere, alle prese con questi interrogativi, assai impegnativo, sol che si pensi che nel 2022 si sono avuti quasi 68 mila e il 10,5 per cento di morti in più rispetto alla media annua dei morti del quinquennio 2015-2019. Tanti, troppi.
Per quel che possiamo dire al momento, usciamo dalla pandemia senza esserne davvero usciti. E questo paradossalmente a prescindere dall’effettivo peso dei morti di Covid, giacché l’eccesso di morti del 2022 rispetto ai valori annui pre-Covid è, data la sua entità, gravido di incertezze. Perché se la causa di questo eccesso è ancora soprattutto se non esclusivamente il Covid, allora non potremo fare a meno di porci qualche domanda su quanto abbiamo davvero capito del coronavirus. Se, diversamente, sono altre cause di morte ad aumentare, allora ci si deve interrogare a) su quanto abbia pesato la pandemia sull’adeguatezza e l’efficacia della rete dei servizi socio-sanitari e b) su quanto e come lo stato di salute complessivo degli italiani sia rimasto provato dalla stessa lotta contro il Covid.
Realismo vuole che ci si impegni in una riflessione a 360 gradi sulla base di una ricognizione approfondita e puntuale dello stato del Servizio sanitario nazionale e della sua corrispondenza, nelle varie aree del Paese, alle esigenze di una società come quella italiana, investita, specificamente sotto l’aspetto dei livelli di salute e benessere, non solo dal Covid, ma dal tornado di un invecchiamento della popolazione che non è secondo a quello di nessun altro Paese al mondo. Perché è il Servizio sanitario nazionale nella sua struttura e articolazione a uscire malconcio dall’esperienza della pandemia. Ruolo e funzione della medicina di base, solo per limitarci al primo livello del Servizio sanitario, non sono stati all’altezza di ciò che l’eccezionalità della situazione imponeva. Cosicché appare urgente ridisegnare competenze, contorni e modalità operative della medicina generale, già a cominciare dalla formazione universitaria che prepara i medici di base. E questo non è che il primo step.
Ci sono elementi di fondo, nei dati, che possono indirizzare quella riflessione alla quale non ci si potrà – organi di governo della salute, istituzioni nazionali e autonomie locali – in alcun modo sottrarre.
Per coglierli appieno conviene dividere l’esame dei dati in due parti, di cui la prima parte attiene al confronto tra i morti del triennio 2020-2022 segnato dalla pandemia e quelli che avremmo avuto se la pandemia non ci fosse stata, valutati in base ai dati dei morti degli anni pre-pandemici 2015-2019. Mentre la seconda parte si risolve nel confronto tra i singoli anni del triennio 2020-2022.
In quest’ultimo triennio, a tutti gli effetti pandemico, l’Italia ha accumulato complessivamente 231.821 morti in più di quelli che avremmo avuto sulla base dei dati degli anni precedenti la pandemia, pari al 12 per cento di morti in più. Il Nord Italia, con 130.199 morti in più, corrispondenti al 14,4 per cento in più dei morti di questa circoscrizione negli anni pre-pandemici, ha pagato il maggiore tributo al passaggio della pandemia di Covid-19. Il centro Italia ha limitato i danni a 33.356, pari all’8,4 per cento di morti in più, mentre il Mezzogiorno si colloca a metà strada con 68.267 e il 10,7 per cento di morti in più. La pandemia ha dunque interessato indiscutibilmente l’intero territorio nazionale, ma con gradazioni assai diverse. Merita una annotazione particolare il divario tra il Nord e il Centro, rispettivamente il massimo e il minimo dell’aumento dei morti nel triennio 2020-2022, perché a parità di popolazione il Nord ha avuto il 70 per cento di morti in più di quelli pagati dal Centro in questo triennio. Divario assai importante.
Ciò detto, appare qui una grande questione, che conviene esprimere sotto forma di interrogativo: per quali ragioni l’andamento Nord-Sud ha il suo massimo di morti e mortalità dovuti al Covid al Nord e il suo minimo al Centro per poi risalire considerevolmente nel Mezzogiorno? Se un gradiente geografico Nord-Sud ha da esserci, si capisce poco la super mortalità del Mezzogiorno rispetto al Centro, dal momento che avrebbe dovuto registrarsi una contrazione ininterrotta del surplus di morti dovuti alla pandemia scendendo dal Nord, epicentro della diffusione del Covid-19, al Centro e dal Centro al Mezzogiorno. Se ciò non è stato, occorre capire perché e appare abbastanza realistico ipotizzare, anche se potrebbero non rappresentare l’unico fattore, elementi di debolezza regionali relativi alla capacità della rete dei servizi socio-sanitari e delle strutture ospedaliere e specialistiche di fare fronte alle esigenze imposte dalla curva, temporale e geografica, della pandemia. Non è detto che solo in ciò stia la spiegazione, ripetiamolo, ma indubbiamente occorre capire perché in regioni come la Sardegna (+15,4 per cento dei morti nel triennio 2020-2022) e la Puglia (+14,2 per cento) c’è un surplus di morti che si colloca dietro soltanto ai surplus della Lombardia (+19,2 per cento, la regione con il maggiore aumento dei morti nel triennio 2020-2022) e del Trentino-Alto Adige (+16,3 per cento). Le regioni del Centro, se si escludono le Marche, sono agli ultimi posti per il surplus di morti negli anni del Covid e appare assai significativo che proprio il Lazio (+7,2 per cento, la regione con il minore aumento di morti nel triennio 2020-2022) sia all’ultimo posto della graduatoria delle regioni secondo l’aumento dei morti nel triennio 2020-2022. Questa regione, che è stata al centro di una campagna di vaccinazione per giudizio unanime assai estesa e attenta, sembra spiccare non casualmente in positivo su tutte le altre.
Questo dunque il quadro generale. E se da un punto di vista geografico-territoriale il dato del Mezzogiorno, e nel Mezzogiorno quello di alcune regioni come la Sardegna e la Puglia in modo particolare, richiede un approfondimento, un approfondimento richiede anche il dato complessivo del 2022, con i suoi 4.464 morti in più rispetto al 2021 quando tutti o quasi ci aspettavamo un più o meno deciso numero di morti in meno rispetto al 2021. Un aumento – mediocre, sottolineiamo ancora – dovuto quasi esclusivamente al Nord (+6.604) e poco al Centro (+700), mentre nel Mezzogiorno si è registrato un modesto calo dei morti (-2.840) rispetto al 2021.
Per capire questo andamento è necessario fare un passo indietro. Al fatto, cioè, che nel 2020 ad essere colpito dalla pandemia è stato in modo preponderante il Nord, con ben 74.296 decessi in più dei 100.256 decessi in più fatti registrare quell’anno dall’Italia, molto meno il Centro (+9.902) e il Mezzogiorno (+16.328). In percentuale al Nord i decessi sono cresciuti nel 2020 di quasi il 20 per cento rispetto alla media annua dei decessi del quinquennio 2015-2019, contro aumenti ben più modesti attorno al 7 per cento tanto del Centro quanto del Mezzogiorno. Cosicché se a livello nazionale, per l’aumento della mortalità, la speranza di vita alla nascita o vita media arretrava di 1,1 anni, in conseguenza di questa sproporzione il Nord perdeva 1,5 anni, mentre tanto il Centro quanto il Mezzogiorno si fermavano a una perdita di 0,6 anni di vita media. Nel 2021 però i 63.415 morti in più si sono distribuiti ben diversamente e il Mezzogiorno ne ha registrati 27.390, 11 mila più di quelli del 2020, mentre l’aumento dei morti al Nord era appena un terzo di quello dell’anno precedente (24.649). Di conseguenza era il Mezzogiorno ad accusare, nel 2021, il maggiore incremento dei morti rispetto alla media annua pre-pandemica dei morti: più 12,9 per cento contro l’8,6 per cento del Centro e l’8,2 per cento del Nord. Sul piano della speranza di vita questo significava che nel 2022 mentre il Nord recuperava un anno di speranza di vita alla nascita dell’anno e mezzo perso l’anno precedente, passando da 82 a 83 anni di speranza di vita alla nascita, il Centro non recuperava nulla, restando fermo a 82,9 anni, mentre il Mezzogiorno regrediva ancora di 0,3 anni scendendo a 81,5 anni.
Insomma, se una lezione da tutti questi numeri sembra di poter trarre, non può che essere questa: chi, come il Nord, nel 2021 ha recuperato in modo consistente il surplus di morti del 2020, nel 2022 ha accusato una battuta di arresto tornando a registrare un aumento, sia pur contenuto, dei morti; mentre chi come il Mezzogiorno nel 2021 aveva registrato un aumento dei morti perfino superiore a quello del 2020 ha potuto giovarsi di un leggero recupero.
Ma ciò, se è davvero questa la lettura giusta dei dati, sta a significare, appunto, una fatica più grande di quella prevista per uscire dalla pandemia, perché il Nord non conferma nel 2022 i guadagni del 2021 mentre il Mezzogiorno, per usare un’espressione abusata ma calzante, arriva appena a prendere un brodino che non cura il suo malessere, mentre nel complesso la corsa dell’Italia verso la normalità pre-Covid per quanto riguarda la mortalità si arresta inaspettatamente.
Il tutto, e non si può non chiudere con questa annotazione, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) declassa la pandemia a livello di un’influenza stagionale ora che il peggio è passato e in tutto il mondo numero di contagiati e di morti di Covid sono ai livelli più bassi. Abbiamo volutamente evitato di avventurarci sul terreno di dati non ancora ufficiali. Ma dopo tante note amarognole più ancora che prudenti non si può non concludere annotando che a) i dati nazionali dei morti di gennaio-febbraio 2023, che l’Istat benemeritamente ha appena pubblicato, sono inferiori a quelli medi dei mesi di gennaio-febbraio del quinquennio pre-pandemico 2015-2019 e b) indiscutibilmente anche in Italia i morti di Covid nel 2023 mostrano una forte decelerazione. Ci sono insomma un po’ di premesse perché possa verificarsi nel corso di questo 2023 quel che ci saremmo aspettati già dal 2022.