La Stampa, 25 marzo 2023
Scaroni all’Enel?
Il prologo di questo racconto è preistoria. Mosca, 15 novembre 2006. In una rigida mattina d’autunno l’allora amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni atterra nella capitale russa per incontrare il suo omologo di Gazprom Aleksej Miller. È il giorno fissato per quello che lo stesso Scaroni definirà un accordo “storico” con il gigante dell’energia. Sono gli anni in cui Vladimir Putin è partner dell’Occidente, membro del G8, rassicurante fornitore di materie prime per i cugini europei, Italia e Germania in testa. Scaroni, sotto gli auspici di due premier (Romano Prodi prima, Silvio Berlusconi poi), lega a doppio filo il destino della prima azienda partecipata dallo Stato con Mosca: esplorazione, trasporto, trasformazione, cooperazione tecnologica. Allora come oggi il gas naturale è l’unico compromesso possibile fra le esigenze energetiche delle economie mature e la salvaguardia dell’ambiente dall’abuso dei combustibili fossili. Gli effetti di quell’accordo sono tuttora parte del nostro presente: con contratti a lungo termine (fino al 2035) Eni diventerà il primo cliente mondiale di Gazprom. Dall’inizio della guerra in Ucraina è passato poco più di un anno, eppure la dipendenza italiana dal gas russo è già un lontano ricordo. Di intramontabile c’è il legame fra Berlusconi e Scaroni: negli appunti di Giorgia Meloni per l’imminente tornata di nomine il nome dell’ex manager vicentino è in cima alle preferenze dell’ex premier e di Matteo Salvini. Il nome di Scaroni risuona spesso per la presidenza di una delle due società che ha lungamente guidato, dell’Eni appunto o dell’Enel. Meloni è a dir poco scettica. La premier non ha alcuna voglia di rimettere in pista un manager considerato vicino al faccendiere Luigi Bisignani e protagonista di un accordo – quello del 2006 – preceduto da un opaco (e mai chiarito) affare che coinvolse l’imprenditore italiano Bruno Mentasti, amico personale di Berlusconi e altri soci russi schermati da società cipriote: in ballo c’era la fornitura di tre miliardi di metri cubi di gas destinati all’Eni.L’ipotesi della grande rentrée all’Eni per Scaroni è già tramontata, e per un’altra ragione nota a chi frequenta il palazzo che affaccia sul laghetto dell’Eur. L’azienda oggi è guidata da Claudio Descalzi, cresciuto sotto l’ala protettrice del predecessore, ma con cui il rapporto è incrinato. Correva il 2014, a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi e i giudici di Milano accusavano i due manager di corruzione internazionale nell’acquisto di un giacimento in Nigeria. Verranno entrambi assolti a marzo del 2021 perché «il fatto non sussiste».L’altra ipotesi per Scaroni – la presidenza dell’Enel – è invece ancora in piedi. Se non si imporrà la scelta di una donna, nei piani di Berlusconi e Salvini il presidente del Milan dovrebbe essere nominato in tandem con Stefano Donnarumma, amministratore delegato di Terna (e molto stimato da Giorgia Meloni) o Luigi Ferraris, ex Enel e oggi numero uno di Ferrovie. Nei palazzi romani la ragione per cui i due partner scomodi di Meloni sponsorizzino con tanta convinzione Scaroni è oggetto di malizia. Chi meglio di lui per riallacciare i rapporti con Mosca quando la guerra sarà finita? Chi meglio di lui per recuperare lo spirito multipolare perso nelle nebbie delle pianure ucraine? La realtà è più complessa di così, e nel frattempo lo ha capito Scaroni per primo.Subito dopo l’esplosione del conflitto, a cui nessuno credeva salvo (allora inascoltati) i servizi americani e inglesi, il manager in diverse interviste spiega che «il tetto al prezzo del gas è irrealizzabile». Sostiene che «la chiusura dei rubinetti russi sarebbe preoccupante» e che «avremo bisogno di quel metano per altri dieci anni». Lo scorso gennaio, di fronte alla forza dei fatti, Scaroni cambia repertorio: a gennaio spiega che sui tagli al gas russo «non si tornerà indietro» per altrettanti dieci anni.Anche in questo caso occorre ricordare la rapidità con la quale il mondo è cambiato. Nel giro di pochi mesi, sotto la spinta determinata di Mario Draghi, Claudio Descalzi ha dimezzato le forniture di gas da Mosca. Si trattava di una strategia iniziata da lontano, e che solo la guerra ha accelerato. Già dieci anni fa Descalzi – entrato in Eni come ingegnere di giacimento nei Mari del Nord, Libia, Congo e Nigeria – aveva promesso il cambio del paradigma strategico deciso dal predecessore: dall’asse Est-Ovest a favore di quello Sud-Nord. La nave rigassificatrice arrivata in questi giorni a Piombino serve esattamente a questo: trasformare il metano liquido che ora Eni compra in Angola e Mozambico per compensare i tagli alle forniture russe. In estrema sintesi la strategia opposta a quella che Scaroni impostò per volere dei due leader storici della politica fra gli anni Novanta e Duemila.Nel frattempo anche Enel ha dismesso completamente le proprie (limitate) attività in Russia: lo scorso ottobre, in deroga ad un editto putiniano, Francesco Starace ha ceduto tutte le quote di Enel Russia a Gazprom e Lukoil per 137 milioni di euro.Riusciranno nonostante tutto ciò Berlusconi e Salvini nell’operazione Amarcord? Gli amici di Scaroni garantiscono che lui sta bene dove sta: a 77 anni non gli mancano né il lavoro (con la banca d’affari Rotschild) né gli sfizi (la già citata presidenza del Milan). Gli stessi ammettono comunque che il richiamo della foresta del potere è forte per chiunque, e dunque nel caso in cui i due inistessero per il ritorno in pista dell’ex manager pubblico lui accetterà con spirito di servizio. Ma senza credere per un minuto alla possibilità di firmare mai più accordi come quello siglato in quel lontano 2006. —