la Repubblica, 25 marzo 2023
Netflix e le paghe da fame
Un gruppo di attrici e attori che fa causa alla web tv più famosa del mondo – progressista e liberale – perché si sente maltrattato, sfruttato. Sembra un fiction. Invece sta succedendo davvero. A Roma, praticamente ora.
Elio Germano, Neri Marcorè, Claudio Santamaria, Michele Riondino, Alberto Molinari, Carmen Giardina – artisti ormai nel cuore degli italiani – sono parecchio arrabbiati con Netflix. Ogni giorno vedono la televisione via Internet oleare il registratore di cassa per i tanti soldi che incassa dagli abbonati e adesso anche dalla pubblicità. Loro però – le attrici e gli attori che nobilitano le fiction e i film in onda – non riceverebbero un compenso onorevole.
Così, dopo mesi di trattative a loro dire inutili, ecco all’orizzonte le carte bollate. “Artisti 7607” – la società che Germano e Marcorè hanno fondato a tutela dei loro interessi, voce di migliaia di altri creativi – farà causa a Netflix. “Artisti 7607” pensa che Neflix e le altre tv del web buttino la palla in tribuna. Non condividono cioè le informazioni su quante persone guardano un film, una fiction (sia in Italia e sia all’estero) e sui ricavi che ottengono. Grazie a queste omissioni, riuscirebbero a versare agli attori cifre risibili.
Cinzia Mascoli – la Valeriana diViaggi di nozze di Carlo Verdone, ora presidente di “Artisti 7607” – è preoccupata. Al tavolo delle trattative – racconta – Netflix ha tutti i dati sull’andamento di film e fiction; gli attori invece non sanno niente. Prendono forma così delle partite di poker che vedono un giocatore con 5 carte in mano e l’avversario, con nessuna. Il primo (Netflix) siede su uno sgabello alto e stabile; l’altro (l’attore) sulla poltronaa sacco di Fantozzi. La disparità negoziale è evidente. E così – spiega ancora Mascoli – «anche opere di grande successo procurano agli artisti cifre insignificanti e slegate dai reali ricavi. Ora ci aspettiamo sostegno e vigilanza dalle istituzioni a tutela dei nostri diritti. Le norme ci sono: bisogna solo farle rispettare». Secondo gli attori, già il decreto legislativo 35/2017 – che ha scardinato il monopolio della Siae nel diritto d’autore – impone alle emittenti di comunicare i dati sul gradimento delle opere. L’assenza nella legge di sanzioni effettive avrebbe indotto, però, le web tv a condividere il minimo indispensabile. Poi, a novembre 2021, l’Italia ha recepito la direttiva europea sul Copyright che cristallizza il diritto anche degli artisti a compensi «proporzionati». Ma gli effetti ancora non si vendono. D’altra parte, nel derby infuocato tra Netflix e gli attori, l’arbitro c’è; ma lo hanno chiuso nello spogliatoio. L’AgCom – il garante perle Comunicazioni – dovrebbe risolvere le liti tra le parti. Ma il regolamento che le assegna il fischietto e i cartellini non è ancora operativo. A questo punto, dunque, “Artisti 7607” va al tribunale civile, con una mossa «lodevole, coraggiosa e necessaria». Così Paolo Calabresi, a nome di un’altra associazione di attori scontenti e delusi (“Unita”).
Netflix replica: «Abbiamo a cuore che artisti, interpreti ed esecutori italiani siano remunerati equamente, in linea con la legge. Abbiamo lavorato per trovare soluzioni eque anche attraverso le organizzazioni che li rappresentano. Da molti anni, abbiamo un accordo con “Nuovo Imaie”, che rappresenta la maggioranza degli artisti, interpreti ed esecutori. Abbiamo cercato un accordo con “Artisti 7607”. Tuttavia “Artisti 7607” non ha identificato le prestazioni degli artisti che essi rappresentano nei film e nelle serie del nostro servizio, né pubblicato una tariffa per i servizi audiovisivi in streaming».