Corriere della Sera, 25 marzo 2023
Intervista a Den Harrow
Ha avuto un successo planetario come cantante, ma non cantava. È arrivato ad avere 13 miliardi di lire in banca ma poi ha perso tutto. Oggi vive nove mesi all’anno a Malaga, fa serate ma potrebbe anche non lavorare. La parabola di Den Harrow (vero nome Stefano Zandri, 60 anni da Nova Milanese) è l’immagine degli Anni 80, un decennio di superficialità ed edonismo, ma anche di opportunità che oggi sono impensabili.
L’adolescenza?
«Un disastro. Da ragazzino ero dislessico e grasso, venivo bullizzato. Fino ai 13 anni la mia infanzia è stata difficile. Poi – è il mio temperamento – mi sono arrabbiato, sono dimagrito 20 chili in un mese, mi sono messo a praticare arti marziali e dopo un anno ho picchiato tutti i bulli che mi avevano menato».
La scuola?
«Altro disastro. La dislessia non era ancora stata diagnosticata e quindi io per le maestre ero solo un ragazzo che faceva fatica a capire; sono stato bocciato in terza elementare. Ancora oggi se non mi concentro capovolgo lettere e numeri, sul cellulare ho la rubrica con tanti numeri di telefono sballati».
La musica è una traiettoria che arriva per caso.
«Da brutto anatroccolo mi ero trasformato in un bel ragazzino e avevo cominciato a frequentare una discoteca a Milano; ero un fan di Renato Zero e mi vestivo in modo eccentrico. Ero il belloccio del club, non pagavo né all’ingresso né al bar. Quando ballavo intorno a me la gente si metteva in cerchio a guardare, tipo Febbre del sabato sera, un film che all’epoca mi fece impazzire. Infatti volevo fare il ballerino, ma un giorno mi chiesero se volevo fare il cantante: c’era un disco già pronto, già cantato».
In che senso già cantato?
«Negli Anni 80 funzionava così, c’erano personaggi che prestavano solo l’immagine e la voce era di altri. Era la prassi, io avevo 19 anni e mi dissero che mi sarei chiamato Den Harrow: era un gioco di assonanze con denaro».
Lei era l’uomo-immagine di una canzone...
«Per di più dislessico. Immagini la fatica che facevo a imparare il playback. Mad Desire fece un milione di copie, per Future Brain dovevo fare solo una tappa al Festivalbar, ma le feci tutte e vinsi tra i giovani. Tra l’86 e il 90 ero tra i primi cinque cantanti d’Europa piu popolari tra le teenager, con Simon Le Bon, George Michael, Prince e Billy Idol. Con Don’t Break My Heart rimasi in classifica due anni in Germania, il disco fece 3,5 milioni di copie».
Che vita faceva?
«In una settimana prendevo 10 aerei, ho passato la mia gioventù in volo e in hotel. E poi ero frustrato, mi sentivo di prendere per il culo la gente. E non ero tranquillo, fare un buon playback era uno stress emotivo continuo, ma nessuno si era mai accorto di nulla. A quel punto avevo 30 anni e circa 13 miliardi di lire in banca (ho venduto 20 milioni di dischi)».
Il lusso più stravagante?
«Un giorno mi presento in ufficio, dico che non voglio prendere per il culo i mei fan, ma avevo 22 anni ed ero comprabile e corruttibile. “Ti piacciono le macchine? – mi chiedono —. Vai a farti staccare un assegno per comprare una Porsche e non rompere le balle”. Spesi 95 milioni. Gli sponsor mi davano tutto, non pagavo niente, né hotel né ristoranti. Guadagnavo tantissimo ma non spendevo troppo: buttavo soldi solo in orologi, auto e moto. Ho comprato anche la villa di Grace Jones a Ibiza».
La droga?
«Ce n’era tanta tanta tanta. Ricordo a Londra, una festa in una chiesa sconsacrata con Boy George e George Michael, c’erano ciotole e insalatiere piene. Andavi e ti servivi, montagne di cocaina, tiravano tutti. Si fa in fretta a cascarci».
Pure lei?
L’Isola dei famosi
«Mi misi a piangere, sono passati 16 anni
e ancora mi prendono per i fondelli...»
«Sono sempre stato un ragazzo curioso, ma mai tossicodipendente».
Quando si stancò di fingere?
«A un certo punto feci un ultimatum alla casa discografica: o canto io il prossimo brano o me ne vado. Mi fecero cantare il primo disco, Born to Love. Stavo diventando difficile da gestire, ma ero ricattabile».
Aveva 30 anni...
«Mi ritrovai con brani cantati da 7 voci diverse più la mia. E la gente, tutti grandi intenditori, non si è mai accorta di nulla. Poi quando è uscita la storia tutti a dire: eh sì lo sapevamo, si capiva. E quindi sono stato massacrato: ero il truffatore, quello che aveva imbrogliato la gente».
Si fece terra bruciata intorno...
«Nel frattempo mia madre – l’unico amore della mia vita – si ammalò e morì. E allo stesso tempo la finanza mi disse che c’era un controllo fiscale. Il commercialista era un amico, era di casa, ma venni a sapere che per 10 anni non avevo pagato niente. Nel 1991 la Finanza mi portò via tutto, due case, le macchine, rimasi con 10 milioni di lire sul conto e la disco dance era finita. Ho messo il dito sul mappamondo ed è venuta fuori San Diego. Sono partito con due valigie leggere per un posto dove non conoscevo nessuno».
Cosa faceva in California?
«L’istruttore di body building in un club sulla spiaggia. Poi andai a Las Vegas e per un mese studiai i ballerini di strip-tease ma erano molto piu grossi di me. In una palestra trovai uno spacciatore di bombe anabolizzanti: presi 15 chili in un mese, dovevo fare in fretta. Portavo sul palco le mie canzoni, l’unica cosa in più era togliermi i vestiti. Facevo 7 spettacoli al giorno per 3 giorni a settimana e guadagnavo un botto. Il nome d’arte era diventato Den Hard...».
Poi tornò in Italia spinto da?
«Per la voglia di rivalsa, ero arrabbiato con gli italiani, mi sono sentito molto maltrattato. Io ero il capro espiatorio, nessuno mi ha mai difeso. A Mediaset faccio Meteore, poi arrivo all’Isola dei famosi che mi rovina».
Il suo pianto a dirotto.
«Mi prendono per il culo ancora oggi dopo 16 anni con la storia del piangina, nonostante tutto quello che ho fatto. Ho fatto innamorare, divertire, ballare e si sono dimenticati di tutto».
Oggi cosa fa?
«Tantissime serate, revival Anni 80, ma posso anche permettermi di non lavorare».
Tornasse indietro?
«Non vorrei essere Den Harrow. Mi ha dato più rogne che altro