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 2023  marzo 25 Sabato calendario

Intervista a Jerry Calà

«Possiamo dire che San Pietro ancora lassù non mi vede». L’umorismo di Jerry Calà non si affievolisce neanche se al telefono ha la voce un po’ affaticata dalla convalescenza, reduce dall’infarto che l’ha colpito una settimana fa mentre era a Napoli per girare il suo nuovo film.
Prima di tutto, come sta?
«Adesso bene, ormai sono stato dimesso. Mercoledì è venuto a prendermi mio figlio da Verona, abbiamo preso il treno e la sera a cena eravamo a casa. Ho superato questo piccolo incubo. Beh, insomma, neanche tanto piccolo».
Ha preso molta paura?
«Lo spavento è stato fortissimo, inutile che ce lo nascondiamo. Anche perché se non ti è mai capitato non è che lo riconosci immediatamente. La prima sensazione è quella di un’indigestione e con questo ragionamento stavo perdendo un po’ di tempo. Ero da solo in hotel, avevo cenato in camera e ho iniziato a sentire un dolore al petto abbastanza forte. Siccome venivo da una settimana di riprese in esterni in Molise, dove abbiamo preso un sacco di freddo, mi son detto “sarà quello, o il cibo”. Poi questo dolore si è fatto più forte ed è stato accompagnato da sudori freddi pazzeschi, quindi ho chiamato il 118: in pochissimo tempo sono arrivati in camera». 
Ha detto di aver trovato del personale molto bravo.
«Sono stati più che bravi. Ringrazierò sempre Napoli e la sanità di Napoli perché mi hanno salvato la vita». 
Ma è vero che le hanno chiesto di dire «libidine» in sala operatoria?
«Erano tutti miei fan, dottori abbastanza giovani in quell’età in cui mi dicono “siamo cresciuti con i tuoi film”. Quindi erano anche un po’ emozionati e mi dicevano di non fare scherzi. Poi, quando ormai la cosa era risolta e mi sentivo più tranquillo, qualche battutina la concedevo e li facevo anche sorridere. Mi sono rilassato perché sentivo di essere nelle mani di gente che sapeva quel che faceva».
Nella paura del momento, ha pensato di morire?
«Devo dire la verità: no. Il pensiero non mi è balenato. Sentivo questo dolore, ma sempre con lucidità. Ho temuto piuttosto interventi complicati, magari a cuore aperto. Chiedevo ai medici “ma adesso mi aprite?” e loro ridevano e mi spiegavano passo passo che mi stavano mettendo una sonda attraverso una mano. Poi magicamente il dolore pressante è sparito e così li ho fatti ridere ancora di più, ho esclamato: “Vi dico quel che volete, libidine, doppia libidine, vi dico tutto”».
Su Twitter poi si è risentito per gli attacchi dei no vax.
Lo spavento è stato 
forte, ma i dottori sono stati bravissimi: erano tutti miei fan e quindi 
erano anche emozionati 
«Non mi sono nemmeno arrabbiato, sono talmente stupidi che mi hanno scritto “ecco, hai visto?” riprendendo le foto di quando ho fatto il vaccino. E questi sono i più gentili, c’era anche chi mi augurava la morte, ma poi a un certo punto, come ho scritto, questi commenti osceni non li ho proprio più letti».
Dall’altro lato, però, ha ricevuto tantissimo affetto. Se lo immaginava?
«Così forte no. Il mio telefono si è fuso, ma anche quello della mia famiglia o di amici cari come Mara (Venier, ndr.). Abbiamo avuto la sensazione di essere una grande famiglia anche con Mara, oltre che con Bettina e Johnny, mia moglie e mio figlio. Io questa ondata di amore l’ho proprio sentita e secondo me ha aiutato la risoluzione positiva dell’intervento. Mi ha dato l’impressione che forse nella vita qualcosa di buono l’ho fatto».
Mara Venier è stata una delle prime a preoccuparsi.
«Ha fatto un post perché la gente la chiamava, alcuni le chiedevano se fossi morto. Ha passato anche lei momenti difficili, come mia moglie e mio figlio che avrei voluto avvisare io prima che qualche catastrofista dicesse loro chissà quali cose».
Ma ora è vero che tornerà subito al lavoro?
«No no. Sono le cose che si dicono sotto l’effetto degli oppiacei che ti danno in ospedale. Adesso starò tranquillo sul divano per minimo 30 o 40 giorni, farò qualche passeggiata a vedere i cantieri, starò in famiglia. Certo senza perdere i contatti per il film».
Ci anticipa qualcosa?
«Si chiama Chi ha rapito Jerry Calà?, lo sto facendo con la Vargo Film ed è quasi finito. È un’idea stramba e auto-ironica, in cui un gruppo di miei fan in ambasce economiche mi rapisce pensando che ci sarà subito un riscatto. Invece tutti i miei amici a cui telefonano dicono “tenetevelo”».
Umberto Smaila dice che non sa se dovrà partecipare.
«Sì sì, certo che dovrà. Sarà divertente. È un film in cui si ride molto che ho voluto tantissimo