La Stampa, 23 marzo 2023
intervista a Giancarlo De Cataldo
Al Teatro Carignano di Torino per Biennale Democrazia lo scrittore Giancarlo De Cataldo oggi alle 15,30 affronta con la giornalista Concita De Gregorio il tema Italia, 1993-2023. Trent’anni vissuti pericolosamente. E forse in pochi sono titolati a farlo come lui, 67 anni, ex giudice penale a Roma, autore di Romanzo criminale, di Suburra e di decine di romanzi gialli e sceneggiature.Qual è il filo rosso di questi trent’anni?«Sia io sia Concita De Gregorio abbiamo dei figli nati nel 1993, allora ho pensato a un ragazzo a cui scorrono davanti questi anni, a una sceneggiatura punteggiata dagli eventi fondamentali. Darne un’interpretazione è già più difficile, a volte basta mettere in fila i fatti. Certo si avvertono due sentimenti dominanti. La paura o incertezza, che ci portiamo dietro dall’11 settembre 2001. E poi dalla pandemia, che ha acuito questa tendenza. E ancora dalla guerra in Ucraina, che ha riacceso il senso di difficoltà nel decifrare il presente e di oscurità del futuro. Il secondo tratto dominante, non limitato a quella piccola provincia del mondo che è l’Italia, è la polarizzazione estrema di un contrasto tra città e campagna, tra aree industriali che guardano al progresso e borghi rurali in cui gli stili di vita sono opposti a quelli metropolitani».Nel 1993 l’arresto di Riina, quest’anno quello di Messina Denaro, siamo sempre un Paese mafioso?«Ma non siamo l’unico. Sono sempre stato contrario alla lettura etnica della mafia, che ne ha ritardato la comprensione come di un fenomeno non solo siciliano o italiano. La criminalità organizzata è un agente nello scacchiere mondiale. Prima della pandemia il 30 per cento dell’economia globale si muoveva fuori dal sistema bancario. E ora il Pnrr è fonte di ulteriori appetiti mafiosi».Lei crede all’arresto di Messina Denaro?«Sì, non sono così dietrologo. In quarant’anni di magistratura ho conosciuto tante persone impegnate nel contrasto ai latitanti, che non si lasciano prendere facilmente. Ogni volta che arresti un capo mafia però devi chiederti chi ha preso il suo posto».Il 1993 è anche l’anno della fine della Dc e della preparazione della discesa in campo di Berlusconi. Bisogna rimpiangere la Prima Repubblica?«Avevo 37 anni e votai convintamente no al referendum sul maggioritario, perché so quanto il nostro popolo sia fazioso e portato a dividersi. Non rimpiango la Prima Repubblica, anche se era fatta di persone che condividevano gli ideali della Resistenza, ma il proporzionale che obbligava a un maggiore confronto democratico».E Berlusconi va rimpianto?«Mi fermo al proporzionale, e poi avendo fatto per lavoro il giudice non do giudizi».Qual è la sua idea finale su Mani pulite, di cui parla anche nel suo romanzo Nelle mani giuste?«Ricordo tanti imprenditori liberati dalla costrizione delle tangenti. Poi se si vuole raccontare la storia di un golpe dei magistrati, accomodatevi pure. La verità è che la corruzione era a un livello tale che il sistema non la sopportava più. Anche su questo non credo alle dietrologie».E la sua idea sul rapporto tra Berlusconi e la magistratura?«Ricordo solo quante volte ha cambiato le leggi per ottenere dei favori, rendendo per tutti gli altri il sistema meno razionale. Sono sempre stato garantista, ma non credo alle persecuzioni giudiziarie».La banda della Magliana, Suburra, i Casamonica, c’è una continuità nella mafia della Capitale?«Una serie di sentenze afferma che a Roma esistono da tempo gruppi mafiosi, come gli Spada, i Casamonica e altre piccole mafie. La mafiosità nel processo su Mafia capitale non è stata riconosciuta, perché mancava il requisito della violenza. E in effetti se si fa un confronto con la quantità di omicidi della banda della Magliana si nota questa differenza, anche se oggi i metodi mafiosi sono cambiati. La continuità invece c’è per via di alcune persone e zone ricorrenti, ma con fenomeni nuovi come le mafie etniche degli albanesi, dei nigeriani e degli est europei».Esistono i poteri occulti o sono solo poteri deboli?«Un esponente dei servizi segreti mi confidò: “Noi abbiamo messo in campo molte attività. Quando riescono, diventano storia; quando falliscono, li chiamano complotti”. Esistono consorterie riservate, ma la lotta Usa-Russia che le alimentava è finita con la Guerra fredda».Oggi quali poteri contano?«C’è un unico potere che conta, travolge e travalica tutto: il denaro. Lo rivelò anche il finanziere Warren Buffett: la lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi. Altri poteri sono esistiti, ma se una fetta consistente di americani è convinta che i Democratici siano pedofili satanisti c’è un problema molto più grande che riguarda la postverità e il contatto con la realtà».Di recente lei ha affrontato anche il tema dei No vax e degli estremisti religiosi. È la polarizzazione il pericolo contemporaneo?«Loro si considerano una reazione al pensiero dominante delle élite. C’è da domandarsi se abbiamo sbagliato qualcosa nel pensare che grazie alla scienza, alla tecnologia, insomma all’Illuminismo, tutti avrebbero scelto la via più sana. Evidentemente nell’uomo c’è anche qualcosa di sbagliato e autodistruttivo. Tremo quando sento che al posto del giudice potrebbe arrivare un algoritmo».Ora su quali misteri sta lavorando?«Su quelli degli anni 70, perché sono alla radice di oggi e ce li stiamo dimenticando. E mi piacerebbe raccontarli dal punto di vista di un cattivo. Quello che mi affascina e mi angoscia di oggi invece è l’intelligenza artificiale».Chi sono i suoi giallisti preferiti?«Simenon, Chandler e lo Sciascia di A ciascuno il suo e Il giorno della civetta».E qualche titolo contemporaneo che l’ha appassionata?«Figli della furia di Chris Kraus, una cavalcata nel nazismo, i romanzi metafisici ma attuali di Donato Carrisi e i Diari e taccuini di Patricia Highsmith, tesoro inesauribile che fa capire come nascano i capolavori e quanto una persona umanamente discutibile possa essere un grande artista».Un riferimento personale?«No, pensavo a Roald Dahl a cui volevano ingiustamente cancellare le parole». —