La Stampa, 23 marzo 2023
Macron, il Mario Antonietto di Francia
Amo alla follia la Francia, ma non riesco a nascondere l’entusiasmo alla vista di Parigi cosparsa di rifiuti. Noi, qui a Roma, ci riusciamo da anni senza nemmeno la scusa dello sciopero degli spazzini (ma intanto, zitto zitto, il nostro sindaco Gualtieri la sta ripulendo mica male e, a proposito di petulante autodiffamazione, per il terzo anno consecutivo La Sapienza è la miglior università al mondo per studi classici: allons romains!). Ai cari amici francesi, che ricordano di aver tagliato la testa a Luigi XVI, e lo rifaranno con Emmanuel Macron, questo Mario Antonietto sfrontato al punto d’aver varato la riforma che manderà i sudditi in pensione a sessantaquattro anni anziché a sessantadue, vorrei sottolineare che noi, pizza e mandolino, ci andiamo a sessantasette. Voilà. Però qualcosa glielo invidio: proprio Macron. Il quale ha varato la riforma, secondo superpoteri costituzionali, nonostante la maggioranza dei parlamentari fosse contraria e nonostante il popolo con le picche fuori dall’Assemblée. Noi, fichissimi con la nostra Sapienza e la nostra età pensionabile, vantiamo leader tremolanti davanti ai follower e volatili a seconda della viralità su Facebook, e ogni volta a svolazzare in favore di vento col brandello di Costituzione: la sovranità appartiene al popolo (senza eccetera, però). Proprio Macron, ieri, ha spiegato l’eccetera, cioè la differenza fra populismo e politica: la sovranità appartiene al popolo elettore, non al popolo in tumulto. Il populista si mette dietro al popolo in tumulto, il politico si mette davanti al popolo elettore, là dove è stato messo dal popolo sovrano.