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 2023  marzo 23 Giovedì calendario

L’incapacità di dare alla migrazione una forma diversa

Forse le cose andranno come Angelo Panebianco ha previsto l’altro giorno sul Corriere (21 marzo, «I migranti e l’Europa più unita»), e cioè che sul lungo periodo la popolazione degli Stati nazionali europei è destinata a divenire in misura massiccia multietnica facendo dunque segnare una profonda frattura rispetto al passato. Ma sul lungo periodo. Per il momento siamo chiamati a vedercela con il fenomeno migratorio che conosciamo, anche se di sicuro caratterizzato nell’immediato futuro da un numero assai alto e crescente di migranti (si parla già per quest’anno di una cifra superiore di molto ai centomila). Da anni l’Italia è alle prese con questo problema. Che è sbagliato però definire con il termine «migrazione», come continuiamo a fare. Finora infatti è stato un’altra cosa, anche per la nostra incapacità di dargli una forma diversa. Finora si è trattato di donne, uomini, bambini che sotto i nostri occhi si può dire – con il radar e la radio non possiamo forse quasi vederli? – mettono in gioco la loro vita, in pratica chiedendoci ogni volta di salvarli. Chi paragona tutto ciò ad esempio con le migrazioni dall’Italia verso le Americhe compie solo un esercizio retorico: quei viaggi di oltre un secolo fa, infatti, non consistevano in nulla e per nulla in qualcosa di simile.
Oggi, chi si getta all’avventura cercando di raggiungere l’Italia assomiglia piuttosto a quei poveri diavoli senza una casa o un lavoro che minacciano di buttarsi dall’ultimo piano di un palazzo se non si trova modo di dar loro ciò di cui hanno bisogno. Una forma estrema di richiesta di aiuto, ma è ovvio che in ogni caso il primo dovere è cercare comunque di impedirgli di morire, di salvarli.
Altrove forse non si ragiona così. Ma noi siamo italiani, siamo fatti diversamente e non ci dispiace (almeno alla maggior parte di noi...). Qui da noi, ad esempio, se qualcuno pensasse non dico di prendere di mira con proiettili di gomma gli immigrati in arrivo sulle coste di Lampedusa ma solo di cingere di filo spinato quelle coste, come invece tranquillamente fanno gli spagnoli a Ceuta e Melilla (e senza che a Madrid si riempiano le piazze), o magari di usare verso gli stessi migranti minacce analoghe a quelle usate dal premier inglese, chi solo pensasse qualcosa del genere qui da noi sarebbe giustamente messo al bando dai più.
Perciò, finché non riusciremo a stipulare accordi efficaci con i Paesi di provenienza o di partenza dei migranti verso l’Italia (campa cavallo!), il problema dell’immigrazione per noi non potrà certamente essere un problema di respingimento bensì di accoglienza. E finché non otterremo l’aiuto dell’Europa (altro campa cavallo!) sarà inevitabilmente un problema di accoglienza e di integrazione.
Per la molteplicità degli interventi che richiede si tratta dunque di un problema complessivamente immenso: logistico-organizzativo, culturale e finanziario, di politica interna ed estera. Per la sua portata più che di un problema si tratta di una vera emergenza nazionale. Che è venuta crescendo negli anni fino alla misura attuale senza che però in tutto questo tempo nessuna forza politica, nessuna, sia mai riuscita a proporre una qualunque soluzione adeguata. Senza che nessun esponente di partito – vuoi di destra, di centro o di sinistra – sia mai riuscito neppure a immaginare il complesso di misure – intendo misure concrete, corredate di cifre, di indicazioni verosimili non già di buone intenzioni e basta – capaci di dare una soluzione accettabile alla questione. Anche perché tutti – ripeto: tutti senza distinzione di parte – hanno ogni volta ritenuto più facile e più comodo sfruttare il problema dell’immigrazione, sfruttare il contenuto altamente emotivo che esso ha presso l’opinione pubblica, per cercare di ricavarne un piccolo utile immediato a base di «tu avevi detto...», «tu avevi fatto...» e così via recriminando a vicenda. Diciamo la verità: sulla questione dell’immigrazione il sistema politico italiano e i suoi attori hanno dato finora il peggio di sé, in un clima di generale incapacità/irresponsabilità nel quale ognuno ha puntato ogni giorno a guadagnare qualcosa mentre il Paese nel suo complesso annaspava sempre di più.
Oggi più che mai, tuttavia, l’immigrazione si prospetta, lo ripeto, come un’autentica emergenza nazionale, nei tempi medio-lunghi un vero uragano che minaccia di venirci addosso. Possiamo allora continuare così, è il caso di chiederci, possiamo continuare a non far sostanzialmente nulla se non cercare di tamponare quotidianamente le falle senza avere un piano, un obiettivo, una prospettiva?
Nei Paesi con cui amiamo confrontarci le emergenze più gravi impongono una tregua politica e la ricerca di un accordo tra i partiti. Impongono che si cerchi un’intesa per il bene di tutti in nome di quello che si chiama per l’appunto l’ interesse nazionale. Perché mai la medesima cosa non potrebbe accadere oggi in Italia riguardo l’immigrazione? Non lo richiede forse l’urgenza del problema, la sua natura inedita, la vastità delle questioni implicate e delle risorse necessarie per farvi fronte? Ha senso che davanti a un simile terremoto continui lo sterile palleggio di accuse tra destra e sinistra di tutti questi anni? Anche nei confronti dell’interlocutore europeo non avrebbe un peso ben maggiore un Paese che si presentasse con una voce sola?
Naturalmente è difficile, si capisce, che il governo o l’opposizione prendano l’iniziativa di fare il primo passo. Chi lo facesse, infatti, si accollerebbe dei rischi troppo forti: di apparire debole, di vedersi opporre un rifiuto, di perdere consensi tra la propria parte. E dunque forse questo è uno di quei casi in cui davvero potrebbe essere appropriata quanto risolutiva un’iniziativa del presidente della Repubblica. Nei modi e nella forma più opportuna che egli saprebbe senz’altro individuare. Il presidente Mattarella ha presso l’opinione pubblica l’autorevolezza e l’ascolto per offrire questo ennesimo servizio al Paese. Chi mai potrebbe restare insensibile al suo richiamo?