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 2023  marzo 22 Mercoledì calendario

La tribù di Pennac all’ultima fermata

Ultima fermata per la tribù più bislacca del quartiere parigino di Belleville. Daniel Pennac scrive la parola “fine” nella fortunata saga, lanciata una quarantina di anni fa, con Capolinea Malaussène (Feltrinelli). Un titolo che rende bene l’idea del lungo viaggio fatto fino ad oggi dalla famiglia di Benjamin, l’antieroe degli otto romanzi usciti fino ad oggi che di mestiere fa il capro espiatorio, prima in una grande magazzino e poi in una casa editrice. La figura, ispirata da un’opera del filosofo René Girard, racchiude l’emblema dell’uomo contemporaneo, vittima del rullo compressore capitalista mentre si becca le ramanzine dai clienti del negozio dove lavora e simbolo del riscatto sociale quando risolve i casi. «È un professionista, pagato per addossarsi la colpa degli altri» ma «oggi con tutti che accusano tutti la professione tende a generalizzarsi», ha detto Pennac a Le Figaro. Ma Benjamin resta il fulcro sul quale ruotano tutte le avventure del ciclo, che con questo libro fa seguito al precedente volume uscito nel 2017: Il caso Malaussène. Mi hanno mentito.
Anche se stavolta il personaggio cardine fa un passo indietro per lasciare spazio alle nuove generazioni, come un passaggio di testimone con il quale l’autore fa trasparire la fine del ciclo. Con quest’ultima tappa, lo scrittore francese ricostituisce tutto il gruppo dei Malaussène: dalla madre di Benjamin, capofamiglia sfuggente e perennemente incinta, all’orda di fratelli e sorelle più piccoli fino al cane Julius.
Il Pantheon pennacchiano al completo, ancora più caotico e disordinato ma al tempo stesso unito, con le strade della multietnica e colorata Belleville a fare da sfondo e una miriade di altre figure a completare la galleria. È un quartiere che è cambiato «più lentamente» rispetto al resto di Parigi, «dove ci sono ancora lingue, attività, cibi, religioni» diverse, spiega l’autore, che vive nella zona da più di cinquant’anni.
Quasi un tocco di nostalgia, in una capitale che dalla pubblicazione del primo romanzo, Il paradiso degli orchi, ad oggi, ha subito una trasformazione radicale. Ma Pennac garantisce di trovare ancora un «lato comico» alla città. E lo trasmette al lettore senza che quest’ultimo neanche se ne accorga. Del resto, l’ambientazione emerge da ogni tomo della saga, facendosi quasi personaggio, con i suoi codici, la sua atmosfera e i suoi abitanti.
E proprio in questo contesto si inseriscono gli sgangherati Malaussène. «Non sono stati concepiti come una saga ma è piuttosto una cronaca familiare sociale», ha spiegato lo scrittore. Un punto fermo nel susseguirsi dei libri, mentre la società è cambiata. Pennac le conosce a memoria una per una le sue creature: «Ho una sorta di familiarità tribale con loro», «come personaggi ma anche come persone». Ma guai a considerare i protagonisti come delle pedine funzionali allo scorrimento della storia, come spiegato a Le Monde: «Sostengo che un personaggio di romanzo ridotto alla sua funzione sia uno sbaglio grave. Certo, è necessario che serva a qualcosa ma prima di tutto deve essere qualcuno!». Pennac ci tiene a mantenere la caratterizzazione di ogni sua creazione.
Il nemico di turno è Nonnino, l’archetipo del perfetto cattivo letterario, spietato nelle intenzioni ma non nell’apparenza. «Fino a quando non si è conosciuto» non si sa nulla «sulla cattiveria umana». Un’incarnazione del male contemporaneo, esercitato per mano della sua gang. «È il prodotto di una società iperviolenta e si mette al servizio della violenza», ha spiegato a L’Obs lo scrittore, che non sa bene nemmeno come una simile figura sia nata dalla sua penna: «Gli altri sono spesso delle trasposizioni di alcuni amici, ma questo qui...». Il risultato di un’epoca che si manifesta davanti ai nostri occhi tutti i giorni: «Viviamo tempi estremamente brutali sotto tutti i punti di vista». Pennac prende come esempio proprio l’Italia: «Sono molto colpito dall’oscenità senza limiti della politica neofascista, con ad esempio un progetto che consiste nell’offrire 20 mila euro a ogni coppia con meno di 35 anni che si sposa in chiesa». E proprio in questo contesto i «Malaussène rendono conto dell’oscenità».
Al gruppo di malviventi guidati da Nonnino si contrappone la banda di Benjamin, in una perfetta dicotomia che bilancia la storia armonizzandone gli sviluppi. Nel precedente volume tre giovani malausseniani rapivano per una performance artistica l’uomo d’affari Georges Lapieta, a sua volta sequestrato insieme al figlio dalla banda di Nonnino. In questo volume la storia subisce un’accelerazione, con una concatenazione di eventi, episodi e avventure che tengono vivo l’andamento del romanzo. Spesso si intrecciano tra loro, con il rischio di complicare il racconto, ma anche questo fa parte del confuso universo di Malaussène.
Lo scrittore resta fedele al suo stile, ritmato nel racconto e ironico nelle sfumature. Anche nei tratti più noir resta quel carattere parodistico, magari con un tocco più cupo ma sempre caricaturale. Un modo forse per prendere in giro il classico stile dei gialli, che nei libri di Pennac viene riadattato con un’aggiunta di leggera spensieratezza. Come un marchio di fabbrica, sul quale si susseguono peripezie, omicidi e inseguimenti. «Sono dei romanzi noir», in fondo è una «struttura come un’altra», ha spiegato l’autore sostenendo che «a partire dal momento in cui la scrittura è necessaria, poco importa il quadro narrativo». Ma il romanziere non si dice indifferente alla violenza: «Mi colpisce» ma questo è compensato da un temperamento da scrittore che non ha la stessa natura». In quest’ultimo libro sono presenti anche tanti discorsi e monologhi, tenuti sempre con una certa vitalità. «C’è una poetica del dialogo» che «veicola molti silenzi, non detti, complicità» riconosce l’autore.
Ma con Capolinea Malaussène, Pennac mette veramente il punto all’epopea? «Finisce perché sono vecchio», ha detto l’autore settantottenne a France Inter. «In questo momento ho voglia di fare altre cose, scrivere, trattare temi su altri modi di espressione». A Le Parisien ha confessato di voler lavorare sui concetti di «silenzio» e «tribù», anche se le attività parallele sono tante: una troupe teatrale da seguire e l’impegno con l’ong Sos Méditerranée. Pennac, però, ci tiene a lasciare il dubbio su questa scelta: «Ma forse mento, chissà»