La Stampa, 22 marzo 2023
Storia di Nick e Bobbi, ovvero della copertina di Woodstock
Chissà se quando ha inviato il suo tweet due giorni fa per dare l’ultimo saluto alla moglie Bobbi, Nick Ercoline si sarebbe aspettato che venisse ripreso da tante pubblicazioni in giro per il mondo.
A volte si può diventare icone pop anche senza saperlo. Serve avere almeno un bell’affaccio sul villaggio globale, magari essere su una copertina leggendaria: barrate la casella, perché la foto di Nick e Bobbi fu scelta, fra le mille che furono scattate in quei giorni, come foto di copertina del triplo album che documentava i tre leggendari giorni di “peace and music” del Festival di Woodstock.
Triplo album, Woodstock, agosto 1969, 500mila persone… Chiunque non abbia un’età sostenuta non sa di che stiamo parlando. Ma per coloro che c’erano, o che l’hanno vissuta attraverso quel triplo album (poi ce ne fu un altro doppio), o attraverso il film – Oscar per i documentari nel 1971- o attraverso i racconti di famiglia, tutto questo un significato ce l’ha.
Woodstock, il nome evidentemente suona bene perché la località era la vicina Bethel, è stato il culmine simbolico della controcultura giovanile americana degli anni 60: tre giorni in cui una massa infinita di persone di ogni età e provenienza si è radunata in una vallata nell’upstate New York per un festival di musica che ha portato sul palco tutta la meglio gioventù di allora, con poche eccezioni fra i grandi: giusto i Beatles (impossibile, fu invitata la Plastic Ono Band di Lennon ma era complicatissimo avere il visto), gli Stones (Jagger stava filmando Ned Kelly in Australia), i Doors (fermi per il processo a Jim Morrison), Dylan (che abitava lì vicino e scappò via infastidito) e pochi altri, che pensavano sarebbe stato un concerto come un altro. In compenso, dalle star affermate (Hendrix, gli Who, Jefferson Airplane, Creedence Clearwater Revival) e tanti giovani turchi sul punto di diventare grandi: Santana, Joe Cocker, Janis Joplin, Sly & the Family Stone, e i prìncipi musicali del momento, Crosby Stills Nash & Young.
La cosa miracolosa fu che in una situazione fuori controllo – la gente arrivata in macchina, autobus, autostop, moto e a piedi, visto che le colonne di auto per le strade della campagna americana erano intasate per decine di chilometri – tutto andò a meraviglia. Nonostante la pioggia e il fango, la mancanza di bagni, la scarsità di cibo e bevande, l’abbondanza di LSD e altre droghe ricreazionali e la mancanza di un vero servizio d’ordine non ci furono incidenti, risse, depredamenti, molestie (come si chiamano adesso), violenze.
Una nuvola di pace e buone vibrazioni era discesa sulla moltitudine: il trionfo della filosofia hippie, aiutiamoci e vogliamoci bene, in un’America che era profondamente cambiata. Gli anni 60 avevano portato il movimento dei diritti civili, la pillola, il Vietnam.
Il ’69 – solo due anni dopo la Summer of Love a San Francisco – è la fine dell’innocenza, lo spartiacque fra l’idealismo e il brusco risveglio con gli anni 70: Nixon, la cocaina, l’industria musicale, il dio profitto. Lasciarono ettari di terreno della fattoria di Max Yasgur pieno di cartacce, è vero, ma in fondo non stavamo in Giappone. Gli organizzatori, sorpresi e impotenti quanto i partecipanti, furono geniali e fortunati insieme. Volevano creare un bel Festival rock (con molti punti interrogativi), crearono un evento epocale passato alla storia del costume, oltreché della musica. L’incasso del film pagò tutte le spese insolute, le cause, e salvò la Warner Brothers in un momento di crisi finanziaria.
Bobbi e Nick erano due dei tanti arrivati fin lì senza neanche ben sapere cosa avrebbero trovato – ma suonava come un gran weekend di ferragosto. Sono fidanzati, abitano a un’ora, la prima sera vedono in tv l’attenzione dei media che sta montando: le scene del traffico impazzito, le band, sembra tutto molto eccitante. Partono la mattina successiva con la macchina della mamma di un amico, Corky (quante ce n’erano, quel giorno, di macchine dei genitori), carica di birre e vino, la lasciano per strada e continuano a piedi. Trovano una coperta che sarà molto comoda il primo giorno sotto il diluvio, e sono abbracciati, lì in piedi sulla collina-anfiteatro di fronte a quel campeggio improvvisato quando viene scattata la foto. La coperta ad avvolgere un attimo di tenerezza, forse di spossatezza, un abbraccio che sembra intimo e pubblico insieme. «Rammento bene l’atmosfera, il cielo era nebbioso, di un rosa arancione, si sentivano la musica e gli annunci già da lontano», ricordava Bobbi sul Guardian nel 2015, «Intorno a noi c’erano famiglie, coppie, gente che urlava, bambini che piangevano, gente che cantava, suonava il banjo, i bonghi. L’aria era umida e odorava di falò e di marijuana. Non avevo mai visto niente di simile prima. Non abbiamo dormito quella notte. A un certo punto sono arrivati cesti di pane e banane, prendevi un filone e lo passavi alla gente intorno. Facevamo lo stesso con l’acqua». Il loro amico Corky sdraiato di fianco a loro nella foto le sembra protagonista involontario di un altro momento particolarmente simbolico: «era appena tornato dal Vietnam: un Marine reduce sulla copertina di un evento dedicato alla pace».
La vita ha continuato a scorrere per Nick e Bobbi – «non hippies ma ragazzi che lavoravano duro», muratore e barista lui, impiegata in banca lei- senza pensarci su più di tanto, finché Life non mette un’inserzione nel giornale locale, con la preghiera di farsi vivi se ci si riconosce nelle foto. È il ventennale, e i due ex-ragazzi che nel frattempo si sono sposati trovano il modo di passare alla storia, la nostra cultura contemporanea sa bene come fare un’icona di un passante nel posto giusto al momento giusto.
Ora, come molti dei musicisti che stavano su quel palco, anche Bobbi se n’è andata, ricordata con affetto dal tweet di Nick: «Se la conoscevate, la amavate. Viveva con il suo motto “siate gentili”. Come infermiera scolastica era dalla parte dei ragazzi, tutte le volte. Come persona diceva sempre: di quanto hai veramente bisogno se hai già tutto quello che ti serve? Per cui dava, e dava».
Con lei, simbolicamente, muore un altro pezzetto del mosaico di quell’èra di pace, amore e musica che si allontana sempre di più nella nostra timeline. —