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 2023  marzo 22 Mercoledì calendario

Corsa al riarmo

La “provocazione” di Giorgia Meloni, sul suo governo che aumenterà la spesa militare, ma a viso aperto e non di soppiatto, era chiaramente rivolta a Giuseppe Conte. È successo sotto i suoi governi, infatti, tra il 2018 e il 2021, che le spese militari sono cresciute da 21 a 24,6 miliardi di euro l’anno. Anche se siamo lontani dall’obiettivo della Nato del 2% del Pil.
Quest’anno, spenderemo altri 800 milioni di euro più del 2022 sulla base di programmi che questo governo ha ereditato dal precedente. Nel cambio tra il ministro Guido Crosetto e il predecessore Lorenzo Guerini, pur passando a Fratelli d’Italia dal Pd, non c’è stato alcuno strappo. «Non devono esserci dubbi – scriveva infatti Guerini – in merito alla necessità di proseguire nel percorso di crescita del bilancio della Difesa, avviato dal Parlamento con le ultime due Leggi di Bilancio, per affrontare le nuove sfide e per rispettare gli impegni assunti in ambito Nato di raggiungimento della soglia del 2% del Pil nel medio termine, che ne prevede il raggiungimento nel 2028». Confermava Crosetto qualche giorno fa: «Alla prossima riunione dell’Alleanza atlantica a Vilnius, sul 2% del Pil alla Difesa, alla fine saremo il pierino della Nato».
I freddi numeri dicono infatti che siamo all’1,38% del Pil come spesa militare. E cioè, secondo l’Osservatorio pacifista Milex, «si passa dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 miliardi stimati per il 2023».
Pesa la spesa per il personale, ma intanto l’elenco delle armi che servono alla nostra Difesa è lungo e complesso. Ci sono armi tradizionali come il carro armato, l’elicottero, le navi per la Marina militare. C’è l’F35 per l’Aeronautica. Servono poi le banali munizioni, per armi individuali o per l’artiglieria. A parte il maxi-stanziamento europeo di due giorni fa (1 miliardo di euro per acquisti comuni, da girare direttamente all’Ucraina e per rimpinguare gli arsenali delle nazioni che stanno rifornendo l’esercito ucraino), la nostra Difesa aveva già un programma decennale di acquisto da 2,7 miliardi di euro. Ma poi ci sono anche apparecchiature avveniristiche quali il satellite per le comunicazioni, Sicral 3, dal costo di 315 milioni di euro. Oppure i sistemi anti-drone, spiegati dal Documento programmatico della Difesa 2022-24 come «apparati tecnologici che appartengono ad una nuova tipologia di sistemi di Difesa Aerea e di Force Protection impiegabili in contesti operativi complessi, a protezione delle basse e bassissime quote, anche in ambienti urbani», per una spesa complessiva di circa 200 milioni di euro in 6 anni.
I soldi corrono veloci, quando si tratta di armi moderne. Negli ultimi giorni della scorsa Legislatura, a Camere già sciolte, i parlamentari hanno votato a favore di 10 programmi di acquisizione per cacciamine, elicotteri, carri armati e missili. Unici ad opporsi erano stati quelli del M5S. Impressionanti i volumi finanziari: in un colpo solo, sono stati impegnati 6 miliardi di euro, sia pure spalmati su diversi anni.
Spiegava però in Parlamento qualche giorno fa il segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, già responsabile del Comando operativo interforze, da dove si guidano tutte le missioni militari all’estero: «Il conflitto in Ucraina rappresenta per tutta la comunità internazionale una fonte di lezioni. Ci ha messo di fronte all’importanza del ritorno ai fondamentali di un conflitto, che richiede capacità militari molto più complesse, in termini di dottrina, equipaggiamenti e addestramento, rispetto a quelle sulle quali ci siamo concentrati nel lungo periodo caratterizzato dalle operazioni di peace-keeping o supporto alla pace».
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, infatti, con l’ostentata rottura della legalità internazionale, l’uso della forza indiscriminata contro la popolazione e le infrastrutture civili, ma anche il movimento di enormi masse di soldati in battaglie campali alla vecchia maniera, è stato un brusco risveglio per tutti. Anche per i militari.
Il segretariato generale della Difesa si sta concentrando sugli aspetti di carattere tecnico-industriale. «Dobbiamo poter contare – diceva ancora il generale Portolano – su sistemi d’arma tecnologicamente avanzati; su capacità industriali solide e competitive, su una catena di approvvigionamento veloce e sicura». Tutte e tre le condizioni sono necessarie per avere forze armate all’altezza.
La lezione ucraina ha dimostrato che con sistemi d’arma più avanzati, gli aggrediti hanno fermato gli aggressori, che pure avevano numeri molto maggiori. Ma non serve a nulla avere l’aereo migliore del mondo, se poi non arrivano i pezzi di ricambio o le munizioni. E non basta. Bisogna mantenersi all’avanguardia tecnologica. «Siamo consapevoli di avere un potenziale gap rispetto alla velocità dello sviluppo tecnologico. Tra tutti: cyber, spazio e intelligenza artificiale».