La Stampa, 21 marzo 2023
Nella Barletta di Mennea
Il nome Pietro Mennea è ovunque: sul lungomare di Ponente dove lui correva sopra la sabbia, piazzato su un parcheggio vicino e poi ancora a battezzare la sezione sportiva del liceo, a fissare il murales a lui dedicato, appiccicato sulla casa dove è nato che oggi ospita casse di birra dietro serrande a metà. E c’è la tv sempre accesa, arriva in strada con il sonoro di altri tempi.
Da oggi il nome, che Barletta mette ovunque e ancora non sa come portare, si vede pure nella nuovissima targa della salita del Vaglio, svelata a 10 anni dalla morte. Lì dove lui faceva le ripetute massacrandosi, lì dove oggi nessun velocista si sfinirebbe mai, lì: nel centro storico dove Mennea è cresciuto e dove ancora passa l’orgoglio inseguito dalle contraddizioni.
Mennea, troppo importante per essere semplicemente un personaggio da celebrare e troppo ingombrante per un’eredità chiara e senza strappi. Mennea che divide, Mennea che attira, Mennea così complesso da tramandare, con quell’esempio grondante sacrificio. Mennea che dopo il record dei 200 metri, destinato a segnargli la carriera, dice: «Un ragazzo del Sud senza pista è riuscito a fare il primato del mondo». Era il 12 settembre 1979, quel tempo, imbattuto fino al 1996, resta il migliore in Europa, ma pure a chiedere banalmente se Barletta è ancora senza pista, se la memoria di Mennea è ancora senza patria, non si trova una risposta condivisa.
La pista c’è e ovviamente porta il suo nome dentro lo stadio intitolato al marciatore Cosimo Puttilli. Inaugurazione nel 2017, presenti il Coni e l’allora ministro dello sport Lotti, fiero del programma a favore delle periferie, ma dopo il taglio del nastro le corsie non si sono più viste. Requisite fino all’anno scorso. Tribune inagibili, permessi negati, anni persi e adesso siamo al «momento della semina» per dirla come Francesco Montenero, per tutti il professore. Sarebbe il custode del verbo, si allenava con Mennea, lo ha affiancato in uno dei tanti ritorni, però quando parla dell’amico la passione gli impedisce di essere troppo rigido, è un vate con licenza di sentimento: «Ora aspettiamo i campioni. Ci sono quattro società di atletica qui, più altre che si occupano di attività in strada, pure tante per Barletta e ognuna ha il suo credo, va bene così, poi magari altri diranno che c’è chi è di troppo. Io mi tengo stretta la mia vocazione, il reclutamento. Propino pillole di Mennea ai miei alunni a scuola, ai miei atleti in campo e credo che lui sia ancora uno stimolo, non si faceva mai fermare». Visione romantica che il presidente dell’atletica pugliese, l’ex maratoneta Giacome Leone traduce con un po’ di cinismo: «Il decennale tira fuori tanti bei ricordi e pure molte cose da sistemare, sto nome di Mennea lo vogliono usare in troppi e noi al Sud siamo bravissimi a spararci tra noi, ci sono i dirigenti che si rubano gli atleti. Mennea resta l’uomo che ha aperto la strada al professionismo e con un metodo da frate francescano. Per questo è così divisivo, era un colosso e smuove infiniti interessi. Per fortuna c’è un accordo tra il comune e la Fondazione Mennea, gestita, dalla moglie Manuela, per regolare le attività».
La frattura si fa più evidente. Nel 2019 è rinata l’Avis Barletta, società storica con cui correva Mennea e che Eusebio Haliti, ex ostacolista azzurro, ha rimontato, con altri connotati e grandi ambizioni: «Da queste parti il lascito di Mennea non viene portato avanti, zero. Io e la mia compagna Veronica Inglese, che sta per esordire nella maratona dopo tanti infortuni, ce ne siamo dovuti andare lontano da casa per fare attività. Voglio essere sicuro che non succeda più e se nasce un nuovo Mennea deve essere trovato subito e sapere dove andare». L’Avis Barletta ha budget da grande squadra e recluta stranieri di peso, come Thiago Braz, campione olimpico del salto con l’asta nel 2016, brasiliano, mai stato in Puglia: «Sì, ma con lui faccio traino, sta nei meeting che contano e in tv dicono Barletta, citano Mennea, grazie a certa pubblicità posso offrire servizi ai barlettani, a molta gente del Sud. Se fossimo partiti dai bambini ci sarebbe voluta una vita e abbiamo già aspettato troppo, guardi la pista: in realtà ancora non c’è perché è già vecchia, piena di buchi». Haliti si è inventato un evento pure in pieno Covid («e ci hanno addirittura rubato la pista che volevamo stendere in strada»), tira dritto, «controcorrente, come ha insegnato Mennea che divide sì, ma sa unire. Pensi alla politica dell’atletica, vecchia federazione contro nuova federazione, d’accordo su nulla eppure su Mennea sì». Quindi non è quello il problema, non sta nelle beghe di famiglia anche se le questioni di sangue c’entrano, sono quelle di casa Mennea che a Barletta cura il cugino Ruggiero ed è molto protettivo: «La gran parte dei barlettani si rivede in Pietro che ha lottato da solo, è un modello presente, tanto che c’è la gara ad appropriarsene. La sua storia va portata avanti da chi lo conosceva, non da chi se lo intitola». Così sarebbe destinata a finire, chi la tramanderà in futuro? «Vediamo con un occhio di riguardo chi lo nomina senza specularci sopra e senza distorcere. E va bene far rinascere l’Avis, a cui lui era legato, ma non per lucrarci, dovrebbe gestirla chi ha gli stessi valori di Pietro». È sul purismo che la città si contorce.
Gaetano de Pace è il responsabile di Officina Atletica e vorrebbe togliere un po’ di carico dalle spalle di questo Mennea postumo, renderlo più accessibile alle ultime generazioni: «Pietro lo ricordo da bambino, l’ho vissuto come mito, oggi i ragazzini che alleno vogliono imitare Jacobs ed è normale che sia così, Tokyo è fresca e poi a Pietro hanno appiccicato sto monito impossibile “soffri ma sogni”, è stato male interpretato. La sofferenza era mezzo e non fine, lui non era votato alla mestizia».
Tutte le strade di Barletta portano a Mennea solo che nessuna riesce a stargli dietro e quella tv sempre accesa evoca l’eco di telecronache lontane: «Rimonta», purché quell’ombra non diventi troppo distante