la Repubblica, 21 marzo 2023
Un libro su Donna Summer
È una storia piena di successi e incomprensioni quella di Donna Summer, proprio come quella della disco music di cui fu regina. Genere troppo disimpegnato per gli anni 70 quando arte e lotte per i diritti si univano in rivoluzione. Le piste da ballo non avevano lo spessore di un corteo. Eppure, le cose sono più complesse di così.
Lo racconta nei dettagli Donna Summer-La voce arcobaleno (Coniglio Editore, dal 31 marzo), libro di Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano, che fa luce su aspetti meno noti della superstar di Boston, 150 milioni di dischi venduti, 5 Grammy, un Oscar.
«È la prima donna, per di più afroamericana, a vincere un Grammy nella categoria rock» ci ricordano i due autori «a guardare in quante sezioni è stata nominata o ha trionfato, si capisce la sua versatilità. Il valore aggiunto è che delle sue hit fu spesso autrice».
LaDonna Andre Gaines (vero nome), classe 1948, è da subito un’atipica. Parte dal rock psichedelico, e non dal soul come ci si aspetterebbe. Canta al Greenwich Village, fra i figli dei fiori, e a 19 anni si trasferisce a Monaco per il ruolo nel musical Hair. Il suo debutto su vinile è la versione tedesca dell’inno hippie Aquarius. Lavora come corista, si salda ai produttori Giorgio Moroder e Pete Bellotte che la definisce la più incredibile performer dell’era analogica. Voce da buona la prima. Nel ’75 il trio sforna la detonante Love To Love You Baby. Per gioco. La Summer canta simulando un amplesso per quasi 17 minuti. Per la stampa il brano è “una maratona di 22 orgasmi”. Lo slogan diventa “Fate l’amore al suono di Donna Summer”. La censura americana, inglese e italiana, si rivelano la miglior pubblicità. Il singolo sbanca, inaugura il sex rock e canzoni da dancefloor lunghe come mai prima, «ma soprattutto, la Summer s’impone come donna- soggetto. Rivendica la sessualità femminile, come Mick Jagger e Freddie Mercury fanno con quella maschile» spiega Savastano. È una carica sensuale che attira le minoranze. Neri, gay e donne trovano nella discoteca uno spazio di espressione e uguaglianza. C’è chi dice che abbia fatto più lei per la liberazione sessuale che qualsiasi movimento politico. E sì, tutto molto leggero, ma non di poco impatto sociale. Nel 1977 la stessa squadra plasma I Feel Love, sintetizzatore e voce eterea, macchina e anima nello stesso pezzo. John Lennon sichiude in stanza per ore ad ascoltarlo (lo rivela lei stessa in un’intervista). Per Brian Eno e David Bowie è «il suono del futuro». A ragione: è il germe dell’elettronica. Intanto l’artista resta impigliata nel suo personaggio nato per caso, e riduttivo. Dea dell’eros, disco queen. Poco importa che si muova fra blues elettrico, new wave, e rivisiti egregiamente standard del jazz. I’m A Rainbow, sono un arcobaleno canta, ma di lei si vede un solo colore. Per vent’anni toglierà Love To Love You Baby dalla scaletta.
Si sottovaluta anche il suo attivismo, dalla capigliatura afro in onore di Angela Davis, (leader del Black Power) alla copertina di Four Seasons Of Love dove si veste da Rossella O’Hara e Marilyn Monroe, a infastidire gli stereotipi bianchi di Hollywood. Con Harvey Milk si oppone alla proposta di legge che discrimina gli omosessuali. In She Works Hard For The Money, con il grembiule da cameriera, reclama la parità salariale; inMistaken Identity, bionda e con le lenti azzurre, denuncia il pestaggio di un tassista afroamericano a opera della polizia, anticipando i temi del Black Lives Matter. Basta però un’accusa di omofobia per perdere fan LGBT, «una bufala dell’industria discografica per boicottare il suo successo» assicura chi scrive la monografia. Summer ne soffrirà per anni, ma il talento ha una sua verità e lei ascende a popstar globale con Last dance, Hot Stuff, This Time I Know It’s For Real, Romeo (nel film Flashdance), ancora stracitate, e si consacra collaborando con Barbra Streisand, Liza Minnelli, Quincy Jones. Muore nel 2012, a 63 anni, per un tumore. Programmava un disco di duetti con Lady Gaga e Madonna, debitrici quanto Kylie Minogue e Beyoncé. «Se ne è andata in silenzio» dice Bufalini «non voleva che la notizia della malattia facesse vendere di più i suoi dischi. Non inseguiva le classifiche. Era una donna empatica e solare».
A maggio esce il documentario su di lei,Love To Love You, co-diretto dalla figlia Brooklyn, che allarga l’inquadratura alla dimensione privata, alla depressione che duetta fissa con il successo. La positività insistita della cantante s’incrinava già nel testo diBe Myself Again del 2008: Si può passare la vita a cercare il proprio riflesso. Avevo conoscenza di ciò che perdevo? Di ciò che guadagnavo, di quanto sarebbe costato? Darei quel che resta, per essere di nuovo me stessa.