la Repubblica, 21 marzo 2023
Moccia si laurea con una tesi su sé stesso
Nome: Federico Moccia.
Curriculum: uno degli scrittori che vantano un successo pop stravolgente, libri venduti come bruscolini. Anni di idolatria adolescenziale in vetta alle classifiche, lettori fan che mettevano lucchetti a Ponte Milvio, traduzioni nel globo terracqueo, e poi le luci della ribalta che perdono intensità.
Cambiano le generazioni, cambia il mondo. Imocciosi, come venivano chiamati i suoi fan, arretrano dal proscenio. Fino a quando, con un colpo di genio involontario, Federico Moccia all’età di 59 anni decide di laurearsi in Letterature comparate con una tesi su sé stesso. Anzi non proprio su sé stesso, ma mettendosi a confronto con Jack London. Titolo: “Due visioni comparate dell’amore: Jack London e Federico Moccia, differenze e affinità di stile, visione e ispirazione attraverso il tempo”.
Relatore Arnaldo Colasanti.
Come le è venuto in mente?
«London è il mio autore di culto, lo scrittore che mi ha fatto scoprire la letteratura. La tesi vuole essere un omaggio a lui, come ho scritto su Facebook e nell’introduzione».
Certo però doveva prevedere l’ironia.
«Quando a 13 anni ho letto per la prima volta Martin Eden è stata una folgorazione. Abbiamo molte cose in comune, a cominciare dalle difficoltà iniziali a pubblicare libri e dalla diffidenza della critica. Ci unisce una certa visione della vita».
London era un avventuriero dalle idee socialiste che solcava i mari, autore di capolavori.
«La tesi non è un confronto ma un incontro creativo nel tempo e nello spazio. Ho analizzato in dettaglio la figura, la vita, lo stile di Jack London.
La sua eredità emotiva mi ha ispirato nella stesura diTre metri sopra il cielo,il romanzo che ha dato il via al mio percorso di narratore. So bene di non tenere il timone della nave durante una bufera, ma non mi lascio scoraggiare. Non ho mai mollato, ho resistito quando nessuno considerava i miei scritti. Allo stesso modo di Martin Eden e di London volevo diventare uno scrittore di successo e ce l’ho fatta. E poi, se vuole saperla tutta, so anche andare a vela (ride,ndr )».
Ha iniziato pubblicando a sue spese “Tre metri sopra il cielo”.
Immaginava che sarebbe diventato un caso editoriale?
«Era il 1992, lo avevo mandato a diverse case editrici ricevendo tutti rifiuti. Decisi allora di pagarmi da solo la pubblicazione e lo stampai con la casa editrice Il Ventaglio».
Quanto le costò?
«Tanto per quei tempi: quattro milioni di lire per stampare intorno alle 300 copie. A quei tempi lavoravo nel cinema e in tv. Avevo iniziato sulle orme di mio padre, Giuseppe Moccia, in arte Pipolo. I primi passi erano stati anni prima come assistente alla regia in
Attila flagello di Dio,il film con Diego Abatantuono e Rita Rusi?».
Diretto da Castellano e Pipolo. E diventato poi un cult.
«Le cose nel tempo acquistanoun’altra luce. Per tornare al romanzo. Il Ventaglio chiuse i battenti ma il libro ormai circolava in fotocopie tra i ragazzi. Arrivò così nelle mani del produttore cinematograficoRiccardo Tozzi che pensò di farne un film. A quel punto trovai pure l’editore. Mandai il libro a Feltrinelli, dove lavorava come editor Alberto Rollo. In quattro giorni le librerie vendettero 30 mila copie. Per tre anni è rimasto primo in classifica. Avevo 41 anni, erano passati dodici anni dal 1992 dell’esordio».
Perché laurearsi a 59 anni?
«È una cosa che ho deciso durante il Covid, iscrivendomi all’università telematica Guglielmo Marconi.
Volevo coronare il sogno di mia madre di vedermi laureato. Da ragazzo, dopo la maturità classica, avevo lasciato Legge a pochi esami dalla fine».
La critica nutre un pregiudizio nei suoi confronti?
«Ammappetela. Come se il successo fosse un insulto alla loro intelligenza.
Le critiche sono opinioni e mio padre mi ha insegnato ad ascoltare solo quelle costruttive, le uniche che fanno migliorare».
Il fenomeno dei lucchetti come simbolo d’amore è esploso dopo l’uscita del libro e del film “Ho voglia di te”, l’ha sorpresa?
«In realtà sono stato io a portare il primo lucchetto a Ponte Milvio. Il libro doveva uscire il 9 febbraio 2006, il giorno prima sono uscito di sera a mettere il lucchetto. Mi sono detto: metti caso che qualcuno leggendo viene qui a vedere se la storia è vera…».
Un’operazione di marketing?
«Ma no, volevo passare dal libro alla realtà. Poi il fenomeno è esploso nel mondo e il lucchetto è diventato un simbolo d’amore. È finito ovunqu e, nei vestiti, nei gioielli, è diventato un gadget».
All’apice del successo le dedicò una parodia Fiorello, oggi i suoi libri, dopo essere passati per grandi editori come Feltrinelli, Rizzoli e Mondadori, non vendono più come un tempo. Come vive questa parabola?
«Benissimo, sono consapevole che i tempi sono cambiati, sono abituato alle difficoltà. Alla prima presentazione diTre metri sopra il cieloin una libreria milanese c’erano cinque persone e alla fine perfino la proprietaria se ne è andata. Mi ritrovai alle dieci di sera da solo a mangiare in una pizzeria sfigata.
Comunque in Spagna e Sudamerica continuano a leggermi e la trilogia di Babi e Step è stata tradotta negli Stati Uniti e ha ispirato una serie Netflix».
Quando ha pensato “ce l’ho fatta”?
«Era l’estate del 1993, vidi in spiaggia una ragazza sul lettino che leggeva
Tre metri sopra il cieloe rideva. Iniziai a passeggiare su e giù cercando di indovinare che scena fosse. Capii che il mio libro divertiva, commuoveva».
È tradotto in tutto il mondo, in quali paesi è più amato?
«In Spagna tra il 2011 e il 2012 ero l’autore più venduto. Se va in Russia e chiede, chi sono gli scrittori italiani più noti? Le diranno, Umberto Eco e Federico Moccia».
Un altro paragone azzardato?
«È una realtà, come dire che oggi sta piovendo».
Negli anni Novanta il suo libro fu primo in classifica 36 mesi prima di diventare un film
Dal suo Ponte Milvio cominciò la moda dei lucchetti “Il primo”, dice,“lo misi io”