Corriere della Sera, 21 marzo 2023
Intervista a Giancarlo Giannini
Dietro quella sorta di inchino di Giancarlo Giannini, mentre indica la stella col proprio nome, sulla Walk of Fame, ci sono applausi, sudore, risate, bellezza. Domani il ministro della Cultura Sangiuliano, Vittorio Sgarbi e alcuni artisti festeggiano Giannini.
Lei è allergico a feste e celebrazioni: questa ha un sapore diverso?
«È il mio premio più importante, più di un Oscar perché corona una vita, anche se di premi alla carriera ne ho una trentina. Parlare di me mi mette a disagio. Mi piace vivere in solitudine, leggere, fare lavori manuali, il muratore, l’idraulico, l’elettricista».
Dimentica l’elettronica.
«Sono un perito, ho dei brevetti. Per Robin Williams in Toys costruii una giacca che emette suoni e altre 2.500 cose. Ogni tanto mi chiamava per istruzioni: come posso far uscire la tromba con la voce giapponese?».
Solo due attori italiani hanno la stella a Hollywood.
«Io e Rodolfo Valentino. È stata una iniziativa di Tiziana Rocca per Filming Italy Los Angeles. Mastroianni avrebbe dovute averne cinque, ma lui ha l’impronta delle mani nel cemento, che io non ho».
Dustin Hoffman in un video si congratula con lei.
«Una volta in un ristorante di San Francisco, dopo aver visto L’innocente di Visconti, mi disse: come fai a recitare in quel modo? Ho cercato di imitarti, gli ho risposto».
Lui dice che il suo doppiaggio nel «Maratoneta».
«Dice che lo miglioro in ritmo ed espressività. Ma non è vero, un doppiaggio non migliora mai un’interpretazione, è sempre uno storpiare qualcosa; avevo una bella voce e cominciai per guadagnare qualche soldo. Con Dustin parliamo dei grandi film del passato, c’è tra noi una piattaforma di malinconia».
Le altre stelle italiane sono tre grandi donne.
«Con Gina Lollobrigida non ho mai lavorato, ma con Anna Magnani e Sophia Loren sì. Nella Lupa di Zeffirelli, quando Anna era spalle al pubblico, mi raccontava le barzellette. Accompagnai Sophia dal parrucchiere, le chiesero quale taglio, quello della Magnani».
A chi dedica la stella?
«A Lina Wertmüller. Senza di lei non staremmo qui a parlare. Mi propose il remake di Travolti da un insolito destino, ma il progetto saltò. Mi chiamava Giancarlino, come Fellini. Federico mi chiamava anche il pipistrello della notte. Andavo a trovarlo al buio sui suoi set. Mi invitò ad assaggiare degli spaghetti al ragù col parmigiano di Parma. I veri grandi sono semplici, infantili, innocenti. Come Pasolini che mi propose un film su San Paolo durante la Resistenza, ma saltò anche quello».
E «Pasqualino Settebellezze»?
«Eh, la mia nomination agli Oscar. Quel film riuscii a imporlo a Lina, lei era scettica, come si fa a far ridere in un lager? Io pensavo a Pulcinella. Mi ispirai a un acquaiolo che avevo conosciuto a Cinecittà, un napoletano brutto che offriva dell’acqua fresca».
Lei e l’America?
«Amore e distacco. Ho fatto due 007 e rifiutato tanti ruoli, mi proponevano l’italiano del Sud, senza distinguere tra Palermo e Napoli. Recitare nella nostra lingua è più complicato che in inglese. Ho detto che i nostri attori sono i migliori del mondo e mi sono saltati al collo. I grandi attori Usa sono di origini italiane».
Giannini, quella storia del gatto nero…
«È diventata virale. Avrei potuto dire Topo Gigio. È vero, per la Mostra di Venezia io non esisto, premiano tutti, a me manco un gatto nero. Sono interessato a scoprire l’umanità delle persone, la gioia di vivere, questo dicevo quando insegnavo al Centro Sperimentale, prima che mi mandassero via con una telefonata, nemmeno una lettera di ringraziamento. Ma sono stato fortunato nella mia vita. Cominciò tutto per caso, dovevo andare in Brasile per i primi satelliti artificiali quando un amico mi suggerì di iscrivermi all’Accademia, pensavo si riferisse alla moda e non al teatro, non sapevo nemmeno cosa fosse».
Un momento difficile?
«Film d’amore e d’anarchia è il film che amo di più, ebbe critiche pessime in Italia, a Cannes fui premiato da Ingrid Bergman come migliore attore, mi diede il premio sulle scale, arrivai in ritardo perché nessuno ci aveva creduto».
Cosa ha in agenda?
«Ho finito il secondo capitolo di Book Club, con Diane Keaton, Jane Fonda, Candice Bergen. Sono un poliziotto che le perseguita».
Molti credono che lei sia di Napoli.
«Perché da giovane vi ho vissuto dieci anni. Mio padre lavorava sui cavi sottomarini a Pozzuoli. Ho frequentato un liceo magnifico, il mio prof di Fisica era stato compagno di banco di Enrico Fermi. Poi la lingua napoletana è la più bella del mondo».
Quanti anni si sente?
«80, i miei. Mi considero ancora un bambino ma nessuno può sgridarmi. Le idee non mancano. Mario Soldati mi disse che le migliori nascevano da una distribuzione di forze tra ciò che scriveva e il contrario di ciò che scriveva».