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 2023  marzo 21 Martedì calendario

Intervista a Roberto Rizzo

Sul mercato esistono stampanti ad aghi, a getto d’inchiostro, laser, 3D. E poi c’è quella, appartenente alla quarta categoria, che Roberto Rizzo, presidente della Solid World, ha iniziato a produrre in serie. Non è solo una macchina capace di sfornare oggetti tridimensionali. A fare la differenza sono quegli oggetti: cellule, tessuti e organi del corpo umano. In prospettiva, persino accessori di pelletteria o costate di chianina. Carne naturale, non artificiale, ricavata dal patrimonio genetico di persone e animali. Nel primo caso, promette di cancellare due incognite della chirurgia: il trapianto e il rigetto. Nel secondo, gli allevamenti intensivi. Una stampante così scodella in 3D anche soldi veri, al posto dei fogli di carta. Infatti, il 15 febbraio, quando ne è stato annunciato il lancio, l’azione Solid World valeva 2,02 euro; il 15 marzo era schizzata a 4,89. Un aumento del 142 per cento in un solo mese.
Rizzo da bambino abitava 8 mesi l’anno a Roma, dove il padre era dirigente dell’Inps, e 4 a Sarmede, «il paese delle fiabe», 9 chilometri da Vittorio Veneto, la cittadina di origine. Oggi vive e lavora a Treviso. Il quartier generale della Solid World (14 sedi, 3 poli tecnologici, 150 dipendenti, 64 milioni di fatturato atteso dagli analisti per l’ultimo bilancio) si trova lì. Ne è fondatore, presidente, amministratore delegato e maggiore azionista. La controlla con il socio Marco Calini: «Io ho il 48 per cento dei diritti di voto, lui il 24. Andiamo d’amore e d’accordo».
Giocava con «Il piccolo chimico»?
«No, a 7 anni costruivo modellini di aerei. Nel 1983 fui il primo ingegnere aeronautico a laurearmi alla Sapienza».
Mi lasci indovinare: con 110 e lode.
«Sì. Il mio maestro fu Luigi Broglio, il padre dell’astronautica che portò l’Italia per terza nello spazio dopo Urss e Usa. Mi mandò alla Messerschmitt, a Monaco di Baviera, dove costruivano l’Eurofighter, il caccia oggi adottato da Germania, Regno Unito, Italia, Spagna. Ma già nel 1982 ero alla Boeing di Seattle. Vidi per la prima volta il Cad 3D con cui stavano progettando il 747. M’innamorai di questa tecnologia e ci scrissi la tesi di laurea».
Come si definirebbe? Inventore? Innovatore? Scienziato? Visionario?
«Imprenditore tecnologico. Dall’età di 25 anni anticipo il futuro. Questo non è un Paese per chi abbia visioni. Provengo da una famiglia di laureati in legge, mio nonno Michele era procuratore della Repubblica a Palermo. A finanziarmi fu Oliviero Olivieri, che stampava in 3D scarponi e pattini di plastica a Montebelluna. “Fa’ l’industriale”, mi consigliò».
La stampante 3D di cellule, tessuti e organi sembra fantascienza.
«Ci sono dietro 20 anni di ricerche su auto, moto, aerei, barche. Li progettiamo al pc oppure digitalizziamo ciò che un modellista ha costruito in polistirolo o in legno e stampiamo i prototipi in metallo o in plastica. Lavoriamo per le case automobilistiche, per la Formula 1, per Boeing, Airbus e Dassault con Leonardo».
La stampante ha un nome? È grande?
«Electrospider. Assomiglia ai grandi frigoriferi che piacciono tanto agli americani. È la prima al mondo a tecnologia 3D multiscala e multimateriale. Quella che usiamo per i prototipi dei veicoli misura 3 metri in lunghezza, 2,20 in altezza, 1,5 in larghezza e pesa 1 tonnellata».
Ma un’auto spesso supera i 5 metri.
«I pezzi stampati si assemblano».
Come le è venuta questa idea?
«Quattro anni fa ho cominciato a vedere il corpo umano come una macchina, la più complessa che esista. Lasci perdere cervello, pensiero, coscienza. Parlo degli organi, che assolvono alle più disparate funzioni e sono compattati in un ambiente assai ristretto e interconnessi. Così abbiamo creato un software di scansione tridimensionale che trasforma le tomografie e le risonanze magnetiche in modelli digitali di questi organi. Non molto semplice: un cuore batte, quindi si muove, non ha contorni ben definiti. Lei pensi ai vantaggi nel caso di metastasi al fegato: il chirurgo ha in mano un modello perfetto, sa dove tagliare. E infatti la sperimentazione è già servita negli interventi cardiaci e renali, nelle spine bifide, nelle separazioni di gemelli siamesi».
Lei è un ingegnere aeronautico, non può esserci arrivato da solo.
«Ho sempre frequentato le eccellenze universitarie di Pisa, dalla Normale alla Scuola superiore Sant’Anna. Nell’ateneo della città toscana ho incontrato Giovanni Vozzi, ordinario di bioingegneria. Insieme abbiamo costituito Bio 3D Printing, uno spin-off che ha sede a Barberino Tavarnelle, in Val di Pesa, di cui Solid World possiede il 51 per cento. Presidente della società è Aurora De Acutis. Lei e Carmelo De Maria sono due giovani ingegneri biomedici, allievi di Vozzi. Geni che non sono fuggiti all’estero. Quando parlo con loro, resto sbalordito».
Posso vedere la vostra stampante?
«È a Navacchio, al centro di ricerca Enrico Piaggio dell’Università di Pisa».
Una stampante ha le cartucce.
«Quelle dell’Electrospider contengono liquido cellulare. Facciamo il caso di un paziente oncologico: dalla biopsia del tumore ricaviamo un idrogel sufficientemente condensato perché possa filtrare dalle testine di stampa».
L’inchiostro delle stampanti costa un patrimonio. Il vostro di più, suppongo.
«Non ci ho mai pensato. È l’ultimo dei miei problemi. Prelevare cellule ematiche, epatiche, ossee costa. Farle sviluppare in ambiente sterile pure. Ma anche un trapianto di fegato grava moltissimo sul Servizio sanitario nazionale: circa 85.000 euro. La vera sfida è un’altra».
Quale?
«Stampare epitelio, tessuto epatico, vasi sanguigni è il meno. Ma le cellule nate in 3D hanno notevoli complessità. È vero che la natura ha fatto in modo di obbligarle a ricostruire le stesse connessioni che avevano nel corpo umano, però questo sviluppo va controllato, per evitare che diventino tumorali».
I reperti stampati come li conservate?
«Li immergiamo in un liquido cellulare ricco di zuccheri che li nutre, come si fa per le cellule sviluppate in vitro. Con un vantaggio: in ambiente tridimensionale, tendono a capire che organo diventeranno. È un qualcosa di fantastico».
Avrete fatto delle prove.
«Già stampiamo le ossa o i vari strati dell’epidermide, fino a plasmare la superficie su cui crescono peli e capelli. Immagini le applicazioni pratiche: lembi di pelle per i grandi ustionati, studio delle allergie dermatologiche nell’industria cosmetica, mai più test sugli animali».
Nelle stampanti capita spesso che s’inceppino i fogli di carta. Nella sua?
«Non deve incepparsi nulla».
Quando arriverà a riprodurre un cuore o un rene da trapiantare?
«Fra un mese? Fra 20 anni? La tempistica dipende da studi e intuizioni. Ragionevolmente direi fra 10 anni. Consideri che Electrospider è nata a fine 2022».
Intanto avete cominciato a produrla.
«Per fabbricarla e testarla servono da 3 a 6 mesi. Ha suscitato forti aspettative specialmente in ambito oncologico. Abbiamo ospedali italiani e americani in lista d’attesa, non posso rivelare quali».
Quante sperate di piazzarne?
«Non speriamo: le venderemo. Il primo lotto sarà di 12 stampanti. Disponiamo di tre stabilimenti, con una potenzialità che può arrivare a 50 unità l’anno».
Costo dell’Electrospider?
«Come una Rolls-Royce Phantom: all’incirca 500.000 euro. Grand view research, società di consulenza indiana con sedi a Pune, vicino a Mumbai, e a San Francisco, stima per la biostampa in 3D un volume di business mondiale pari a 4,4 miliardi di dollari entro il 2028».
Quindi è sicuro che ve la copieranno.
«Abbiamo un brevetto internazionale valido per Europa, Stati Uniti e Cina».
Ma a Cremona non stanno creando ricambi per il corpo ottenuti dai maiali?
«La sperimentazione sugli animali è obsoleta. L’Electrospider replica un organo utilizzando le cellule di un paziente. Per evitare il rigetto, la natura non ci consentiva di fare altro e noi lo abbiamo fatto. Oggi non esiste sulla faccia del pianeta nessun’altra realtà che disponga di questa tecnologia a ciclo completo».
Manderà in crisi un’attività medica rilevante: 144.302 trapianti nel 2021.
«Crisi benedetta, la stessa che comporterà il passaggio dai motori termici a quelli elettrici. Il corpo umano è una macchina che invecchia. Utilizzare il liquido cellulare per generare organi sani apre alle generazioni future prospettive che la schiavitù dei trapianti ci nega».
Punta a stampare anche le bistecche?
«Perché no? Partendo dalle cellule dei bovini o di altri animali, arriverà il giorno in cui non sarà più necessario allevarli e ucciderli per poter cibarcene».
Intanto l’annuncio della produzione in serie di stampanti 3D ha raddoppiato il valore delle azioni Solid World.
«Le innovazioni tecnologiche hanno questo effetto. Guardi, siamo entrati in Borsa nel luglio 2022, con la guerra Russia-Ucraina in corso, lo stato di emergenza per la pandemia e il governo Draghi in procinto di cadere. Peggio di così... Prima i grandi gruppi pretendevano di spulciare i nostri bilanci, ora vengono a offrirci i mezzi finanziari. E soprattutto siamo attrattivi per i nuovi talenti».
La stampante 3D piace ai suoi cari?
«Michela, la mia più stretta collaboratrice, che ho sposato 35 anni fa, è una grafica molto creativa, si figuri se non ama un dispositivo del genere. Lo stesso dicasi dei miei tre figli. Per andare avanti devi avere dietro una famiglia che ti dà forza e serenità. Per fortuna ce l’ho».
Lei pensa di avere bisogno, in futuro, di qualche organo di ricambio in 3D?
«Mi coglie impreparato. Sono veneto e produco un Prosecco biologico a Conegliano. Faccia lei uno più uno. Forse qualche cellula epatica potrà servirmi».