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 2023  marzo 21 Martedì calendario

La missione che costò la presidenza a Carter

New York Fino ad oggi John Connally era conosciuto come il governatore del Texas che il 22 novembre del 1963 sedeva di fronte a John Kennedy nella limousine scoperta che attraversava le vie di Dallas: venne ferito nell’attentato che costò la vita al presidente degli Stati Uniti. Ed è rimasta impressa nella memoria degli addetti ai lavori la frase da lui pronunciata durante un vertice internazionale nel 1971, quando era ministro del Tesoro di Nixon (nel frattempo era passato dai democratici ai repubblicani): ai leader dell’Europa allarmati dagli sconquassi provocati dalla forte ascesa del dollaro che chiedevano a Washington di frenarla, Connally, con il suo piglio texano chiaro e brutale, replicò: «Il dollaro è la nostra moneta ma è il vostro problema». Una frase richiamata ancora oggi quando le oscillazioni della valuta Usa provocano turbolenze nei mercati.
Da sabato Connally verrà ricordato anche per altro: come l’uomo che, con una missione segreta nelle capitali mediorientali, forse cambiò la storia americana convincendo l’Iran degli ayatollah a non rilasciare i 52 ostaggi statunitensi detenuti a Teheran fin dopo le elezioni presidenziali dell’80.
Una loro liberazione poco prima del voto probabilmente avrebbe consentito a Jimmy Carter di restare alla Casa Bianca. Sull’onda dell’umiliazione che i rivoluzionari iraniani avevano inflitto alla potenza americana, fu, invece, sconfitto da Ronald Reagan. A raccontare la storia al New York Times è stato Ben Barnes, allora parlamentare del Texas e braccio destro di Connally, che lo accompagnò in quel viaggio in Arabia Saudita, Egitto, Siria, Libano, Giordania e Israele dal 18 luglio all’11 agosto 1980, cioè a meno di tre mesi dalle presidenziali, a bordo di un jet privato. Connally, secondo Barnes, dette al presidente egiziano Sadat e agli altri leader – tranne a quello israeliano – sempre lo stesso messaggio: fate sapere a Teheran che se libererà gli ostaggi solo dopo il voto, con Reagan otterrà condizioni negoziali molto migliori. Ai primi di settembre Connally, sempre con Barnes presente, riferì sull’esito della sua missione a William Casey, l’allora capo della campagna elettorale di Reagan che poi verrà da lui nominato capo della Cia.
Barnes, che ha 85 anni, dice di aver deciso di non portarsi il segreto nella tomba anche perché turbato dall’idea che il 98enne Jimmy Carter, ormai in fin di vita, possa morire senza che gli sia stata resa giustizia. Il suo racconto è difficile da verificare: tanto Connally quanto Casey sono morti da molti anni e a parte le foto lui non ha documenti a conferma delle sue rivelazioni. Barnes ammette anche di non sapere se davvero il messaggio influì sulle decisioni del regime iraniano, né se Reagan fosse informato. Sta di fatto che gli ostaggi furono liberati appena Carter lasciò la Casa Bianca. E che qualche anno dopo l’amministrazione Reagan fu coinvolta in un altro scandalo – quello Iran-Contras – riguardante accordi segreti col regime di Teheran.
Non è la prima volta che si parla di macchinazioni della campagna di Reagan dietro il mancato rilascio degli ostaggi prima del voto. Nel 1991 Gary Sick, ex assistente di Carter, in un libro intitolato October surprise, sostenne che Casey aveva incontrato emissari dell’Iran in due viaggi a Madrid a luglio e agosto del 1980. Ma l’inchiesta parlamentare che ne seguì non trovò prove. Solo vent’anni dopo emergerà un cablogramma dell’ambasciata americana di Madrid dell’estate 1980 nel quale si afferma che «William Casey è in città per motivi a noi sconosciuti».