Estratto dell’articolo di Carmelo Caruso per ilfoglio.it, 20 marzo 2023
“SARÀ ANCHE UN GRANDE SCRITTORE, MA SCIASCIA COME REDATTORE È UN CANE” – RITRATTI E VELENI DI ERNESTO FERRERO - "GIULIO EINAUDI ERA TIRCHIO, CALVINO NON SAPEVA GUIDARE L'AUTO, MARIO SOLDATI AVEVA LE MANI BUCATE. INGE FELTRINELLI AL CONTRARIO DEL MARITO GIANGIACOMO DOVETTE CAPIRE CHE IL COMUNISMO SI RIDUCEVA AL BANALE ANEDDOTO SU FIDEL CASTRO: “TENEVA LE GALLINE IN TERRAZZO E ACCANTO IL CANESTRO PER GIOCARE A BASKET” – E SU GOFFREDO PARISE E GIOSETTA FIORONI... - IL LIBRO -
Maneggiare denaro era un’offesa e guidare l’automobile un disonore. Giulio Einaudi e Italo Calvino erano pessimi guidatori ed Einaudi, il “Napoleone” della casa editrice, il fondatore, un grandissimo spilorcio. Riuscì a raggirarlo, con intelligenza, solo Mario Soldati (uno che “aveva sempre le mani bucate e due mutui da saldare”). Un giorno, a Torino, insieme a Nico Orengo, entrarono in un negozio d’abbigliamento. Einaudi provò una “morbida giacca di cachemire” e Soldati un “montone”. L’errore di Einaudi fu dire: “Ma le sta benissimo!”, l’abilità di Soldati rispondere: “Grazie, lo considero, un omaggio!”.
A tirare fuori il libretto degli assegni fu Orengo. C’era pure chi, come Bobi Bazlen, avrebbe preferito passare l’intera vita, nella sua piccola casa di Roma, a via Margutta, semplicemente con un solo maglione, quello “norvegese e di colore marrone”. Solo quello e i suoi libri. Di inquieti la letteratura è piena. Eugenio Montale avrebbe desiderato fumare le sue Muratti e scomparire come scompare il fumo. Aveva scritto molte delle sue poesie su buste, biglietti del tram e pacchetti di sigarette. Sull’elenco telefonico, di Milano, figurava come “giornalista”. Gli amici non sapevano come chiamarlo: “Professore, maestro?”.
Evitava in tutti i modi, lui che era il poeta, Nobel, di parlare di cose difficili. Quando qualcuno ci provava, solitamente in trattoria, Montale lo interrompeva e diceva: “Ma assaggi un po’ di queste cipolline e questi sottaceti”. Ernesto Ferrero li ha assaggiati tutti, anzi, li ha “saggiati” e infatti su tutti loro ha scritto ricordi, libri e pure necrologi. Ha cominciato nel 1963. Da allora barattoli di editori, scrittori, agenti letterari, sono finiti nella sua dispensa. Nel suo Album di Famiglia, “Maestri del Novecento ritratti dal vivo (Einaudi) li cataloga come le confetture.
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Di Sciascia, a cui aveva commissionato di redigere la voce Pirandello per le sue Garzantine, riuscì perfino a dire: “Sarà anche un grande scrittore, ma come redattore è un cane”.
(...) Di Inge Feltrinelli, Ferrero, restituisce invece il sapore di fragola, la gioia, e pure le delusioni. Al contrario del marito Giangiacomo dovette capire che il comunismo si riduceva al banale aneddoto su Fidel Castro: “Teneva le galline in terrazzo e accanto il canestro per giocare a basket”. In alto, nello scaffale, inaccessibile, poggia ancora il barattolo Goffredo Parise, “sempre di corsa, in agitazione”. Giosetta Fioroni, che lo ha amato per venticinque anni, gli aveva perdonato pure il vizio della fuga a lui che era “prepotente”, “egoista”, “capriccioso”. La sua casa, sulle rive del Piave, l’aveva arredata con un tavolo da osteria. Si vantava, anche con Ferrero, di conoscere ristoranti. Era solo una rivincita del Parise bambino povero, un inquieto, sì, che cumulava donne, odori, malinconie. Era incosciente e temerario. Ha vissuto e se n’è andato in questo modo: “Giocando con la vita stupidissimamente”.