La Stampa, 20 marzo 2023
Il summit della felicità
«Sei felice? Perché se lo sei, lo sono anche io ed è questo quello che conta». Chi non si è mai chiesto cosa voglia dire essere felici. C’è chi si è ritrovato nella filosofia di vita di Christopher Gardner, l’imprenditore che ha ispirato il film di Muccino La ricerca della felicità. C’è chi ha provato a darle un colore: secondo il biologo Wallace J. Nichols è il blu, la sfumatura che unisce all’orizzonte cielo e mare. E chi sostiene che si possa apprendere: la Finlandia, il Paese più felice del mondo, ha creato una masterclass per insegnarla. La verità è che ognuno ha il proprio significato di felicità. E poco importa quale sia. Il dato rilevante è che anche la felicità è misurabile e può essere usata come parametro per scelte di politiche pubbliche. A calcolare quanto o quanto poco un Paese è felice è ogni anno il World Happiness Report che viene pubblicato in occasione della giornata mondiale della felicità. Perché? Perché il benessere delle persone influisce sul successo del Paese in cui vivono. È l’economia della felicità.
Torniamo indietro al 28 giugno 2012 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l’accordo dei 193 Stati membri, ha preso la scelta di istituire una giornata mondiale della felicità giustificandola così: «Un cambiamento profondo di mentalità è in atto in tutto il mondo: le persone riconoscono che il progresso non dovrebbe portare solo crescita economica a tutti i costi ma anche benessere e felicità». In altre parole: un Paese con un alto numero di persone felici è un Paese felice e di conseguenza è un Paese più produttivo. A spiegarlo è stato il professor John Helliwell che insieme agli studiosi Richard Layard e Jeffrey Sachs ha intervistato un vasto campione di abitanti in oltre 150 Paesi, raccogliendo dati che potessero definire la felicità come entità quantificabile. A tutti è stato chiesto quanto si direbbero felici «da 0 a 10?». E quello che è emerso è che con la crescita della qualità di vita è aumentata anche la felicità globale. I dati sono stati descritti nel primo rapporto mondiale sulla felicità e oggi, a più di 10 anni dalla risoluzione 66/281 dell’Onu, tutti i 20 di marzo festeggiamo la felicità per porre l’attenzione sul benessere collettivo come obiettivo di politica pubblica.
L’analisi fa leva su sei fattori: il supporto sociale, il reddito, la libertà nel poter compiere scelte di vita, la generosità e l’assenza di corruzione in ogni Paese. Sulla base di questi parametri viene stilata una classifica che quest’anno contiene poche sorprese: sono ancora i Paesi scandinavi i più felici del mondo, con la Finlandia al primo posto per il sesto anno consecutivo, seguita dalla Danimarca. Poi Irlanda, Israele, Olanda, Svezia e Norvegia, Svizzera, Lussemburgo e Nuova Zelanda. E il Bel Paese? L’Italia è alla 33esima posizione, un gradino sotto la Spagna ma ben distante da Francia e Germania, rispettivamente al 21esimo e 16esimo posto. Restiamo tra i Paesi più felici del mondo ma anno dopo anno retrocediamo: nel 2021 eravamo in 31esima posizione e l’anno prima alla 28esima. Un andamento contrario a quello della Lituania, l’unica nazione tra le prime venti in rialzo di oltre 30 punti rispetto al 2017. Guardando al fondo della classifica l’Afghanistan e il Libano, dilaniati dalla guerra, rimangono i più infelici. Russia e Ucraina si collocano al 70esimo e 92esimo posto, ma quello che sorprende, sottolinea Emmanuel De Neve, direttore del centro di ricerca sul benessere dell’Università di Oxford, è che «in Ucraina sono stati più felici nel 2022, con l’invasione di vasca scala della Russia, che nel 2014, quando Mosca ha annesso la Crimea, perché il popolo ucraino ha sentito maggiore solidarietà economica e morale dagli altri Paesi».
A spiegare come la felicità possa orientare le politiche pubbliche saranno gli ospiti provenienti da oltre 50 Paesi del World Happinness Summit, l’evento internazionale che per la prima volta arriva in Europa, a Como, dal 24 al 26 marzo. Tra loro Karen Guggenheim, fondatrice dell’iniziativa, Lord Richard Layard, co-editor del World Happiness Report, e Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002. «L’obiettivo deve essere una società più felice – chiarisce Jeffrey D. Sachs, presidente di United Nations Sustainable Development Solutions Network –, ma per raggiungerlo è necessario che le persone non siano felici solo individualmente, ma si rendano felici l’un l’altro». —