Corriere della Sera, 20 marzo 2023
Riflessioni sui reportage
Clic. «No, così è sfocata». Clic. «No, così non dice niente». Clic. «Una foto così, potevi anche fartela al tuo paesello…». Nella storia dei reportage d’autore, e del diverso modo di vedere una stessa cosa, fa scuola il viaggio che Elio Vittorini compì negli anni ’50 col fotografo Luigi Crocenza. L’idea andava di moda nelle librerie del dopoguerra ed era piaciuta subito all’editore Bompiani: perché non accompagnare la pubblicazione di Conversazione in Sicilia con una serie d’immagini raccolte dai due?
Fu un’idea disastrosa. Perché Vittorini e Crocenza se ne andarono in giro un paio di mesi, inviati in un mondo «grande e bello e molto offeso», e fu una croce. Un siciliano e un marchigiano. Uno che ordinava e l’altro che disobbediva. Uno che cercava una cosa, l’altro un’altra. Lo scrittore che considerava l’illustrazione un semplice riempitivo, l’illustratore che si sentiva snobbato dall’intellettuale. Finì che litigarono: «Quando Vittorini voleva fotografare qualcosa – raccontò Crocenza —, io non ero pronto. M’impasticciavo e non folgoravo niente, oppure fotografavo male. E male non solo perché io non sono un operatore ubbidiente o perché il cielo della Sicilia fu in quei giorni maledettamente dispettoso. Fotografavo male perché il mio stile e le mie idee m’imponevano di fare a modo mio. Perché in me c’era un’altra visione delle cose».
L’altra visione è l’oltre. Esiste una poetica parola dialettale che usano i bergamaschi, per definire la fotografia: someànza, somiglianza (peraltro un assillo di chi è guardato, più che di chi guarda: la feroce moglie del dittatore romeno Ceausescu ordinava di non riprenderla mai di profilo perché solo il frontale, era sicura, poteva somigliarle in tutta la sua terribilità).
Se il reportage è descrizione, riflessione e perfino commento, la semplice someànza non basta. E a proposito di Sicilia era un altro editore appassionato di fotografia, Enzo Sellerio, a dire che fotografare è saper scrivere per immagini. Oggi è evidente a chiunque che c’è molto di più, oltre la somiglianza: il racconto libero della realtà, l’ordinario trasformato nello straordinario, l’obbiettivo fotografico che è sempre una soggettiva. «Reportage Beyond Reportage», è il titolo che Mia Fair dedica quest’anno a quell’altra visione delle cose (per dirla con Crocenza) così diversa dalle parole. Si facciano breaking news o approfondite inchieste, si stia testimoniando la vita o la morte, le guerre o le paci, le migrazioni o le restanze, le mode o i modi, i cambiamenti o le memorie, in colore o in bianco e nero, in digitale o con le vecchie pellicole, ogni fotografo ha un suo modo di fare clic ed Emanuela Mazzonis di Pralafera, la curatrice, ha scelto chi meglio sa sfidare la realtà andando oltre: la transilvana Kincso Bede che gli anni soffocanti di Ceausescu li rilegge mascherando le facce di copricuscini ricamati; la spagnola Almudena Romero, che incornicia l’impatto dell’uomo sulla natura ingabbiandone le mani nelle foglie di ficus; l’israeliana Dafna Talmor che ricostruisce i paesaggi del mondo trasformandone le cartoline.
La foto oltre la foto. Certi reportage ti mostrano il nudo&crudo, altri rivestono la verità di significati. Nel 1968, in Biafra c’era un bambino agonizzante con la pancia gonfia e l’occhio dilatato. «Shoot! Shoot!», urlò un missionario irlandese al fotografo Michael Mok, mostrandoglielo con un’intensità che rasentava la follia: lo shooting in inglese è sia lo sparo che lo scatto e quella foto, finita sulla copertina di Life, risvegliò le nostre satolle coscienze sul dramma della fame nel mondo. Fu un reportage necessario, al momento giusto. Cinquant’anni dopo, nel 2018, c’è il volto sporco e perduto d’una donna morta (o disillusa, chissà) che affiora dal buio d’acque torbide e melmose: la fotografa ungherese Mathé Barta lo ritrae con uno sguardo sulla tragedia dei migranti che va in quell’oltre, bucando la banalità quotidiana delle immagini nei tg. Cambiano i linguaggi e ora le notizie le chiamiamo news, dice Emanuela Mazzonis, ma l’obbiettivo rimane sempre lo stesso: «Rivelare con la massima integrità, onestà e imparzialità possibile la realtà altrimenti nascosta all’occhio umano».