Corriere della Sera, 20 marzo 2023
La Crusca dà il benvenuto alle magistrate ma mette al bando la schwa
Come scrivere gli atti giudiziari in modo rispettoso della parità di genere? L’Accademia della Crusca risponde così alla Cassazione: bando ad asterischi e schwa, no all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Schlein), e no alle reduplicazioni retoriche (i cittadini e le cittadine), nomi di professione declinati al femminile.
Bando ad asterischi e schwa, no all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Schlein), e no alle reduplicazione retoriche (i cittadini e le cittadine, le figlie e i figli), sì invece al plurale maschile non marcato «inclusivo», e soprattutto ai nomi di professione declinati al femminile (avvocata, magistrata, questora): l’Accademia della Crusca risponde così al quesito postole dal comitato pari opportunità del consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari rispettosa della parità di genere.
Lo fa a partire dalla non scontata premessa che «i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali. D’altra parte queste mode hanno un’innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata». Da qui una serie di «indicazioni pratiche».
Intanto, niente asterischi o schwa: «È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati. Va dunque escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico (”Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…). Lo stesso vale per lo scevà o schwa». Poi, in una lingua come l’italiano che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, «lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti» non è per l’Accademia della Crusca «la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi» (come in «lavoratrici e lavoratori», «impiegati e impiegate»); ma é «l’utilizzo di forme neutre o generiche (per esempio sostituendo “persona” a “uomo”, “il personale” a “i dipendenti”), oppure (se ciò non é possibile) il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare». E sempre il maschile non marcato si può usare quando ci si riferisce «in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta», ad esempio «il Presidente del Consiglio».
Per il resto, l’Accademia suggerisce di «far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile», che dettaglia poi in base a classi di nomi, desinenze, suffissi, forme composte ed eccezioni: magistrata, avvocata, difensora, colonnella, architetta, procuratrice, questora, pubblica ministero e via elencando.
E l’articolo davanti al nome? «Oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile. Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata – commenta l’Accademia della Crusca —. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto».