Corriere della Sera, 20 marzo 2023
Un paragone tra Italia e Francia
L’Italia ha nei confronti della Francia una strana distorsione ottica. Quando i francesi, con o senza garbo, criticano qualche aspetto della società o della politica italiana che noi stessi biasimiamo, ci inalberiamo: «guardino a casa loro, questi arroganti!». Però, se si verificano da loro problemi gravi, dai quali potremmo trarre qualche insegnamento concreto su quali fattori li hanno determinati, per evitare di cascarci anche noi, in realtà non osiamo farlo, se si tratta di aspetti sui quali abbiamo complessi di inferiorità, ad esempio la Repubblica presidenziale.
Basterebbe guardare la grave crisi in cui si dibatte il presidente Macron, leader politico tra i più stimati nel mondo, perché non riesce, dopo sei anni di tentativi, a far approvare dal Parlamento una riforma delle pensioni meno ambiziosa della riforma Fornero del dicembre 2011, varata in due settimane. Elsa Fornero e io siamo stati spesso invitati a discutere questo tema in Francia.
In tali occasioni, la professoressa Fornero illustra i contenuti della riforma da lei predisposta, le ragioni di equilibrio finanziario ma soprattutto di maggiore equità tra le generazioni che l’hanno ispirata. Da parte mia, ricordo in quale contesto di sfiducia dei cittadini verso la politica e di crisi finanziaria acuta ci venne chiesto di intervenire con urgenza.
E aggiungo, in modo rispettoso, un paragone con la Francia.
L a loro è una Repubblica presidenziale: il presidente ha grande forza in teoria, ma ben difficilmente può mettere in campo l’unità nazionale, come noi nella nostra modesta e imperfetta Repubblica parlamentare potemmo fare, su impulso del presidente Napolitano, con il più ampio voto di fiducia che il Parlamento abbia mai espresso e con le parti sociali dimostratesi molto responsabili. Inoltre, da noi la riforma delle pensioni non sarebbe bastata: per agire con equità e per ricostruire la fiducia dei mercati verso l’Italia, varammo – sempre in quelle due settimane – un ampio pacchetto con varie altre riforme, che gravassero in modo equilibrato sulle diverse parti politiche e sociali. Dovendo noi scontentare un po’ tutti, lo scontento riguardante le pensioni non ebbe altrettanto spazio nelle prime pagine. Macron invece ha dovuto concentrarsi «solo» sulle pensioni. Ha avuto la fortuna di creare meno infelicità complessiva di noi, ma più concentrata su una sola parte. Infine, Macron non ha avuto l’«aiuto, il terribile aiuto», di una crisi finanziaria che stava per portarci al default.
Sono convinto che, con il presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e al tempo stesso capo dell’esecutivo, l’Italia diventerebbe un Paese più conflittuale e meno governabile.
Più conflittuale, perché toglierebbe di scena l’unica figura, il presidente della Repubblica eletto dal Parlamento a larga maggioranza, che a prescindere dal suo passato viene rispettato e riconosciuto da tutte le parti politiche ed esercita un ruolo di moderazione.
Meno governabile, perché una piena contrapposizione tra maggioranza e opposizioni, come si osserva spesso negli Stati Uniti e in Francia – le due più collaudate Repubbliche presidenziali – rende quasi impossibile trovare quel consenso su misure necessarie e urgenti in situazioni di emergenza, che in Repubbliche parlamentari come la Germania o l’Italia è stato più volte possibile ricorrendo a governi di grande coalizione o di unità nazionale.
Semmai si prenda in considerazione un rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. Anzitutto, il premier già oggi ha il diritto-dovere di «dirigere la politica generale del governo», anche perché «ne è responsabile» (art. 95 della Costituzione). Sarebbe inoltre opportuno rendere più agevole la rimozione di singoli ministri da parte del premier; prevedere il voto di sfiducia costruttiva come ad esempio in Germania, Belgio e Spagna; e magari considerare l’ipotesi, più impegnativa, che il premier sia eletto direttamente dal popolo.