Domenicale, 19 marzo 2023
Uno studio sull’autismo
Per quanto tempo si sia speso studiando libri di neuroscienze, sezionando cervelli e scrutando neuroni sotto l’oculare di un microscopio rimane difficile non sentirsi proclivi a qualche forma, magari ben celata, di dualismo mente corpo. Ricordo che al rigore della prospettiva monista mio figlio da piccolo concesse un laconico «Sì, certo papà, è ovvio che per pensare e decidere il cervello mi dà una mano…». In fondo vale anche per me lo stesso perplesso sentimento: sono io che leggo i libri e sono io che registro l’attività di quel neurone, il cervello mi supporta – o no?
L’idea di un ruolo ancillare dei processi fisico-chimici che avvengono nel sistema nervoso con ciò che io penso, credo o desidero non è congruente, tuttavia, con le nostre conoscenze sul piano scientifico: la mente è quello che il cervello fa (il che non significa, ovviamente, che gli scienziati sappiano dire come il cervello faccia quello che fa).
La scienza richiede un modo di ragionare che risulta spesso poco confortevole, perché confligge con quelli che sembrano essere gli adattamenti biologici naturali che hanno foggiato il cervello. Anziché il risultato di un indottrinamento sociale e culturale, la concezione secondo cui il corpo e la mente sono entità separate potrebbe essere il sottoprodotto di questi adattamenti.
L’esistenza di un dualismo intuitivo negli esseri umani è documentato da una letteratura scientifica molto vasta. In una varietà di società e culture gli esseri umani credono che un qualche aspetto degli individui, l’anima, lo spirito, persista dopo la morte. È difficile pensare che questo sia il risultato di un processo di indottrinamento, sociale o religioso, perché compare assai precocemente nello sviluppo cognitivo dei bambini e può casomai essere modulato e modificato dai processi di apprendimento solo in seguito.
Un gruppo di scienziati statunitensi, guidato dalla psicologa Iris Berent, ha riferito su un’importante rivista scientifica che le persone affette da disordini dello spettro autistico mostrerebbero un dualismo mente corpo assai attenuato rispetto a quanto succede negli individui, come si usa dire, «neuro-tipici».
In alcuni esperimenti veniva chiesto alle persone di immaginare un futuro in cui fosse possibile costruire una perfetta replica dei loro corpi. Alla domanda su quali caratteristiche delle persone sarebbero emerse nella replica i partecipanti autistici mostrarono di essere molto più inclini dei neuro-tipici a ritenere che i pensieri si sarebbero trasferiti alle repliche. Di contro, alla domanda di immaginare quali tratti di una persona potrebbero persistere dopo la morte, mentre i partecipanti neuro-tipici erano propensi a credere che i pensieri potessero sopravvivere nell’aldilà, le persone con autismo non lo ritenevano plausibile. Insomma, le persone con disordini dello spettro autistico tendono ad ancorare gli stati mentali ai corpi molto più fermamente di quanto facciano le persone che non soffrono di tali disturbi.
Molti dati suggeriscono che le persone con autismo presentino delle difficoltà con la cosiddetta teoria della mente, l’inclinazione spontanea ad attribuire stati mentali agli altri. Questo torna bene con l’ipotesi che il dualismo intuitivo abbia le sue radici nella distinzione tra oggetti inerti e oggetti animati che parrebbe essere costitutiva dell’attività dei nostri cervelli.
Fin da piccoli riconosciamo che gli oggetti inerti sono entità coese che si muovono solo per contatto, come quando una palla in movimento ne urta un’altra. Al contrario, gli oggetti animati sono semoventi e le loro azioni sono guidate da scopi, desideri e intenzioni – stati mentali che non sono direttamente percepibili.
Il primo tipo di conoscenze, quello relativo al comportamento degli oggetti inanimati, viene etichettato dagli scienziati cognitivi «fisica intuitiva», il secondo, relativo al comportamento degli oggetti animati, «psicologia intuitiva». Quest’ultimo sarebbe responsabile della tendenza ad attribuire stati mentali agli altri, la teoria della mente appunto.
Tonnellate di esperimenti hanno mostrato che ogni violazione delle aspettative nei riguardi dei differenti comportamenti attesi da parte degli oggetti inanimati e degli oggetti animati produce sorpresa negli infanti. Ed è proprio il contrasto tra i due sistemi di conoscenze che ci conduce a ritenere che gli stati mentali siano eterei, incorporei e con ciò a una intuita dualità di menti e corpi. Non sorprende dunque che gli individui che presentano un’insufficienza nella teoria della mente, come accade alle persone autistiche, mostrino un’attenuazione del dualismo intuitivo.
La parte più interessante della faccenda, però, è il nesso con il tema dell’origine delle conoscenze, ovvero se i contenuti della nostra vita mentale derivino dall’esperienza oppure se siano in parte innati. Non mi riferisco qui ovviamente al dibattito scientifico, che su questi temi è sempre aperto, ma alla concezione comune, intuitiva che le persone posseggono dell’innato e dell’appreso.
Nella concezione comune c’è un’interessante discrasia: le persone tendono a credere che i neonati non possano avere concetti, come ad esempio quello di «oggetto» o di «numero» perché si ritiene che questi possano essere acquisiti solo attraverso l’esperienza. Al contrario, le persone sono disposte a concedere che i neonati possano mostrare emozioni, dichiarandosi quindi innatisti nei riguardi di queste capacità mentali.
Per capire come ciò accada dobbiamo considerare che il dualismo intuitivo può congiungersi con un’altra dotazione naturale della mente, l’essenzialismo psicologico. L’essenzialismo è la concezione secondo cui certe categorie di oggetti, specialmente quelle relative ai viventi, sarebbero quelle che sono in virtù di una qualche loro non specificata «essenza». Gli infanti e i bambini sono convinti che l’essenza di un animale risieda in qualcosa di interno al corpo (l’essenzialismo si mantiene ovviamente anche negli adulti e costituisce il fondamento della passione umana per gli oggetti originali – dai memorabilia ai collant di Marylin Monroe – con interessanti implicazioni a proposito degli oggetti d’arte e alla loro riproducibilità). Il punto importante qui è però che le essenze sono concepite intuitivamente come innate: i bambini quando ragionano sull’eredità biologica, ad esempio sul perché il cucciolo abbia il colore della madre, ritengono che la progenie riceva una piccola porzione del corpo dai genitori. Si noti: del corpo – l’essenzialismo è radicato nei corpi e le essenze sono perciò innate.
Tutto avviene, sostiene Iris Berent, come se la combinazione di dualismo intuitivo e essenzialismo ci rendesse inclini all’idea che i concetti, che sono eterei e disincarnati, possano solo essere appresi, mentre le emozioni, che sono corporee, possano invece essere innate. Perciò un neonato non può avere un concetto di numero, ma può avere, innata, l’emozione della gioia espressa nel volto.
Ovviamente il problema di stabilire con i metodi empirici della scienza se e in che misura concetti ed emozioni siano innati è distinto da quello di comprendere perché nella nostra intuizione i primi non lo siano e i secondi invece sì. Infatti le evidenze scientifiche mostrano che contrariamente alle intuizioni delle persone i neonati posseggono un concetto innato di numero e di oggetto.
Le conseguenze del dualismo intuitivo sono assai pervasive nella nostra vita quotidiana: non solo nell’ambito delle credenze di tipo religioso, ma pure nel diverso atteggiamento che mostriamo nei riguardi delle malattie mentali rispetto a quelle cosiddette organiche. Anche le prime, si pensi ad esempio alla depressione, hanno a che vedere con i corpi, e questo è vero persino quando i determinanti o i fattori scatenanti siano l’ambiente e la vita sociale perché, davvero, la mente è quello che il cervello fa.