la Repubblica, 19 marzo 2023
Messina Denaro messaggi dal 41 bis
«Dottoressa, lei è mai stata a Palermo? » chiede Matteo Messina Denaro al medico che lo sta visitando in carcere, e lei risponde: «No, non sono mai andata a Palermo». Il boss sorride e replica subito, vorrebbe attaccare bottone: «È una città bellissima di un milione di abitanti, e le dico una cosa…», il capomafia la guarda in faccia, accenna con l’espressione della bocca ad un sorriso ironico, imposta il tono della voce come per fare un annuncio serio e importante, e lancia una bordata che lascia senza parole la dottoressa. «Da qualche giorno a questa parte», dice Messina Denaro, «tutta la Palermo bene ha le unghie “ammucciate”, nascoste». Detto questo si stampa sulla faccia del boss un sorriso esteso fino quasi alle orecchie, una specie di ghigno orribile, che spaventa.
Messina Denaro parla della “Palermo bene” dopo dodici giorni dal suo arresto e lo fa in seguito alle dichiarazioni pubbliche del procuratore della città, Maurizio De Lucia, il quale ha spiegato come «Cosa nostra sia riuscita a entrare nei salotti buoni dove si discute di affari, finanziamenti, appalti, dove si decidono le politiche pubbliche. E vi è entrata dalla porta principale, parlando con i suoi interlocutori da pari a pari». Il magistrato si è soffermato sul fatto che «la mafia ha sempre avuto rapporti strettissimi con una parte della società », sottolineando «come Messina Denaro abbia goduto di un appoggio molto ampio, non solo di certa borghesia».
Forse per questo motivo il capomafia trapanese, che è rimasto latitante per trent’anni, facendo affari milionari e girando incontrastato per tutta l’Italia, adesso lancia schizzi di veleno su alcuni esponenti della “Palermo bene” che con il suo arresto, forse per paura di essere scoperti, hanno “ritirato” le unghie. Non graffiano. Non parlano. Stanno rintanati. Perché hanno paura di lui, ma ancor di più, delle indagini sulla sua latitanza, che si sviluppano di giorno in giorno coordinati dal procuratore De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Il ghigno del boss — che nei giorni successivi all’arresto non si capacita su come è stato scoperto — è rivolto a questo atteggiamento, che non riguarda tutta la società palermitana, ma quelli che lo hanno favorito. “U siccu” parla proprio di Palermo, punta il dito sulla città, fa credere che potrebbe avere avuto a che fare con persone della borghesia palermitana, dei salotti del capoluogo. È un’analisi che sviluppa in carcere. Messina Denaro non aveva messo in conto di poter essere arrestato né tantomeno di essere tradito. E la sua rabbia in carcere, camuffata dal ghigno, l’ha portato ad ipotizzare che a Palermo i pesci dell’acqua in cui si muoveva lo avessero “venduto”, che poteva essere stato abbandonato forse da qualcuno della clinica Maddalena in cui è stato arrestato. Questo passaggio fa ipotizzare, dunque, che nella struttura c’era chi conosceva la sua vera identità? E lo ha coperto durante le cure?
“U siccu” non ha mai pensato ad una soffiata arrivata da Campobello di Mazzara. Lo aveva escluso a priori, e adesso che le indagini stanno mettendo in luce favoreggiatori e complici di questo piccolo paese, si può capire che in effetti aveva ragione a ritenere che nessuno del suo “regno” lo avrebbe venduto. Era sicuro dei suoi “sudditi”. Purtroppo in questa zona del Trapanese, Matteo è stato solo amato. Anche da chi, come un’insegnante, che per paravento faceva studiare ai suoi alunni progetti sulla legalità, e poi scriveva in privato lettere di sentimento al latitante. Il gancio che ha portato i carabinieri del Ros al blitz il 16 gennaio è arrivato indirettamente proprio dai pizzini che conservava la sua fedelissima sorella Rosalia, detta anche Fragolone.
Dopo tanti viaggi, di affari e vacanza anche in Sardegna, dove avrebbe trascorso più di un periodo in estate in uno dei resort tra i più lussuosi della costa meridionale, e dove ha pure acquistato alcuni anni fa nella gioielleria della struttura alberghiera l’orologio da ventimila euro che aveva addosso il giorno dell’arresto, il boss per sottoporsi agli interventi chirurgici è tornato nel suo territorio, dove si sentiva protetto. Occorre ricordare che nel campo della sanità l’allora latitante poteva contare in famiglia sulla consulenza di un medico: Giuseppe Guttadauro, aiuto primario di Chirurgia, per molti anni in servizio all’ospedale Civico a Palermo, capomafia di Brancaccio. I guai giudiziari hanno costretto il medico ad allontanarsi dalla struttura sanitaria. Senza però perdere le amicizie con altri bravi colleghi e nemmeno la sua mano da chirurgo. Nel suo salotto di casa il dottor Guttadauro impartiva lezioni di mafia, di politica e di vita ad altri colleghi. E dava pure indicazioni sulle candidature per le elezioni comunali e regionali, e sull’esito che avrebbero dovuto avere le gare d’appalto. Poi, attraverso questi corrieri della “Palermo bene”, alcuni dei quali processati e condannati, inviava messaggi a sindaci e presidente di Regione. I quali ricambiavano, come Salvatore Cuffaro, con “soffiate” su indagini in corso, svelando anche l’esistenza di microspie piazzate nel “salotto”.
Tutto ciò per indicare che professionisti, imprenditori, pubblici amministratori e rappresentanti delle istituzioni sono assieme ai capimafia al comando di un blocco sociale, cioè di un sistema di relazioni esteso anche agli strati popolari, al’interno del quale agiscono i gruppi criminali mafiosi. Matteo Messina Denaro conosceva bene il meccanismo. E le pedine importanti sullo scacchiere di Cosa nostra.