La Stampa, 19 marzo 2023
Come cambiano i padri in Italia. I numeri
Eppure aumentano, commenterebbe Galileo Galilei se desse un’occhiata al lento aumento del numero di padri italiani che chiedono congedi di paternità. Si è passati dal 19,23% del 2013 al 48,53% del 2018, fino al 57,60% nel 2021. In quell’anno i padri che hanno chiesto il congedo di paternità sono stati 155.845 su un totale di 400mila nascite, secondo i dati dell’Inps elaborati da Maria De Paola, dirigente della Direzione Centrale Studi e Ricerche dell’Inps.
Ancora poco ma si tratta di un primo segnale. «Sebbene il lavoro di cura dei figli rimanga in Italia un appannaggio prevalentemente femminile, i padri hanno iniziato a riappropriarsi del loro ruolo in famiglia e non vogliono più rinunciare al tempo speso con i figli a causa degli impegni lavorativi», spiega Antonella Inverno, responsabile di politiche per l’infanzia e l’adolescenza di Save the Children Italia. In occasione della Festa del papà, l’organizzazione ha deciso di realizzare un’analisi sui congedi di paternità evidenziando il cambiamento culturale in corso e spiegando che nei prossimi anni la tendenza non potrà che essere ancora in aumento per alcuni motivi. Innanzitutto «questo tipo di congedo esclude i lavoratori autonomi e parasubordinati». Poi «fino all’agosto del 2022 mancavano i decreti attuativi che avrebbero permesso la sua fruizione anche ai padri lavoratori del settore pubblico».
Bisogna ricordare anche - sottolinea Save the Children - che, quando fu introdotto nel 2012, «il congedo di paternità prevedeva un solo giorno obbligatorio e due facoltativi, mentre oggi garantisce 10 giorni obbligatori e uno facoltativo ai neo papà ed è fruibile tra i 2 mesi precedenti e i 5 successivi al parto». A chiedere i congedi però sono i padri che lavorano in imprese più grandi, con contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno, e soprattutto residenti nel nord. «A parità di caratteristiche individuali e sociali, c’è poi una differenza di circa 17 punti percentuali a favore di chi risiede al Nord del Paese rispetto a chi vive al Sud», sottolinea Save the Children.
Alcuni padri, insomma, sentono il bisogno di essere più presenti e si scontrano con le stesse rigidità del mondo del lavoro che finora hanno ostacolato la vita delle madri che lavorano.
Quasi tutte le dimissioni volontarie legate alle esigenze di cura dei figli sono ancora presentate dalle madri (il 97,6% nel caso di quelle legate alla carenza nei servizi di cura e il 93,8% nel caso di ragioni organizzative dell’azienda, per un totale di 30.361 donne). Ci sono, però, 1.158 padri che nel 2021 hanno deciso di lasciare il lavoro per occuparsi dei figli. Save the Children ricorda che tra il 2020 e il 2021 c’è stata una crescita del 43,9% dei padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli o per ragioni legate ai servizi di cura, come la mancanza di nidi o di nonni. Per le madri l’aumento è stato dell’8,4%. E sono aumentati del 66,2% i padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli per ragioni legate all’azienda dove sono impiegati (+2,7% per le madri). E sono aumentati dell’85,3% i padri che dopo la nascita di un bambino considerano la distanza dal lavoro un problema. «Questi dati ci fanno capire quanto sia ancora siamo lontani da politiche di sostegno per la genitorialità», avverte Antonella Inverno. «Qualcosa sta mutando nei modelli culturali, il ruolo della politica dovrebbe essere quello di favorire il cambiamento».