La Stampa, 19 marzo 2023
Perché Trump può essere arrestato
Donald Trump si aspetta di essere incriminato e arrestato martedì e chiama a raccolta il suo popolo: «Manifestate, riprendiamoci la Nazione». L’ex presidente ha affidato notizia e appello al suo Truth Social e in un post ha denunciato le manovre della procura di New York «corrotta e politicamente motivata». Ai suoi consiglieri ha anche confidato che Alvin Bragg, il procuratore capo, «mi odia» ed è «razzista».
Nulla è stato comunicato ai suoi avvocati dalla Procura. Due ore dopo il post un portavoce dell’ex presidente ha puntualizzato che le affermazioni del tycoon si basano su indiscrezioni di stampa (bollate come «illegali fughe di notizie») e che anche la data (martedì) non trova alcun riscontro. È possibile che a Trump – hanno spiegato alcune fonti del suo entourage al New York Times – sia stato detto di una possibile vicina incriminazione. La scorsa settimana il procuratore Bragg aveva invitato Trump a presentarsi al gran giurì per una deposizione; quindi venerdì sera c’è stata una riunione al Manhattan Criminal Court con funzionari della città in merito alle misure di sicurezza da garantire in caso di incriminazione e arresto dell’ex presidente. Sarebbe il primo caso nella storia statunitense.
Domani davanti al gran giurì parlerà un testimone chiamato dagli avvocati di Trump e quindi anche se ci fosse la votazione sull’incriminazione, martedì 21 sembra troppo a ridosso per garantire trasporto, sistemazione ed espletamento delle procedure. Trump si muove – come ogni ex presidente – protetto dal Secret Service.
I legali di Trump hanno detto che il presidente si consegnerà. L’arresto prevede le impronte digitali. I media americani si sono sbizzarriti nell’ipotizzare se Trump sarà ammanettato o meno; la norma vuole abbia le manette ai polsi, ma un’eccezione è possibile. In attesa dell’udienza di convalida non passerebbe nemmeno il tempo in cella, ma nella stanza delle interviste e verrebbe rilasciato immediatamente poiché la sua accusa non fa riferimento a crimini violenti.
La sua accusa è quella di frode fiscale, di aver occultato il pagamento (rimborso) al suo avvocato tuttofare Michael Cohen di 130mila dollari per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels in merito a un affaire che Donald avrebbe avuto con lei nel 2006. Cohen aveva pagato l’attrice nell’ottobre del 2016, ma nei bilanci della campagna elettorale la voce del rimborso è rubricata sotto «spese legali». Cohen è stato condannato nel 2018 per violazione della legge sui finanziamenti delle campagne elettorali e agli inquirenti ha detto che Trump lo rimborsava mensilmente.
La vicenda ha acceso il weekend della politica americana. Kevin McCarthy, speaker della Camera, ha chiesto alle Commissioni della House se sono stati usati fondi pubblici per portare avanti questa inchiesta per «sovvertire la nostra democrazia». Marjorie Taylor Green, la deputata pasionaria della Georgia, ha scomodato paragoni con i regimi comunisti e accusato di connivenza «il Dipartimento di Giustizia di Joe Biden». «Questo – ha detto – è quel che succede nei Paesi comunisti per distruggere i rivali politici».
Su Twitter lo scrittore Stephen King, ha definito invece Trump «sociopatico e criminale». Mentre Elon Musk ha detto che se «incriminato Trump vincerà le elezioni».
Quella legata a Stormy Daniels, al secolo Stephanie Clifford, è solo una delle inchieste su Trump. Un’altra che ricade sotto la Procura di Manhattan è quella degli asset gonfiati della Trump Organization: il miliardario avrebbe esagerato il valore dei suoi immobili dinanzi a banche e assicurazioni. Sul fronte politico a complicare il cammino del tycoon sono le indagini della Georgia sulle interferenze sul voto. Il rapporto finale del gran giurì è riservato, ma le indiscrezioni dicono che una decina di persone sono a rischio incriminazione. Quindi c’è la vicenda delle carte classificate trovate a Mar-a-Lago, trovate in agosto dall’Fbi: indaga un procuratore speciale, Jack Smith, che venerdì ha inviato decine di mandati di comparizioni a dipendenti e entourage trumpiano. Smith ha in mano l’inchiesta sul sei gennaio per appurare se Trump provò a capovolgere l’esito del voto.