Corriere della Sera, 19 marzo 2023
Fanny Ardant lotta contro la sua bruttezza
Finalmente Fanny e i suoi pensieri liberi che rimandano a un’epoca in cui era possibile dire tutto. Al Bif&st di Bari Fanny Ardant, il 29, porta due film, il franco-belga Couleurs de l’incendie di Clovis Cornillac, e l’opera prima di Marescotti Ruspoli, Amusia (nelle sale in aprile per 102 Distribution), dove interpreta la madre di una ragazza affetta da una malattia cerebrale, un disturbo uditivo causato dalla musica, che si innamora di un ragazzo che invece combatte la solitudine con la musica.
Cosa l’ha colpita di questa storia?
«Il modo di parlare di cose normali, come innamorarsi, in modo poetico e misterioso, mai banale. Tutte le storie sono state raccontate, da Omero in poi, ma questo giovane regista ha un modo inaspettato di raccontare l’incontro tra due giovani, Carlotta Gamba e Giampiero Concilio».
Fanny, conosceva questa malattia?
«No. È stata riconosciuta una ventina d’anni fa? Io veramente pensavo che l’avesse inventata Marescotti. Al tempo dei greci non esisteva. Forse esiste ora perché viviamo in un mondo dove c’è troppo rumore. Io ho ricominciato a suonare Bach al pianoforte. Da piccola ascoltavo i miei nonni suonare con un amico in trio, se cominci presto è più facile entrare nella musica classica. Ma per amarla, non bisogna essere esperti».
Lei ha mai sofferto di depressione, come il suo personaggio nel film?
«No. Sono stata disperata e ho desiderato di morire. Ma depressa, mai. Sono troppo vitale. Provare un grande dolore non significa essere depressi. Lo si diventa quando non hai più gusto per nulla. In guerra non c’era depressione, ma lotta per sopravvivere».
Perdoni, quando ha desiderato di morire?
Ride: «Spesso, ma non le direi mai quando è successo. Tante volte mi sono detta basta, me ne vado. Poi la vita è più forte e ti riprende».
Vittorio Gassman, suo compagno di set, era depresso.
«Lo ricordo quando bussava al mio camerino e diceva: posso pranzare con la più grande rompiscatole? Era un bell’ingresso».
Ma rompiscatole perché?
«Era la mia reputazione, amo discutere, gli argomenti impegnativi. Mastroianni era tutto diverso, attraversava la vita con la sua finta leggerezza. Notti a bere, a fumare, a raccontarsi barzellette. E non sapevi mai dei suoi dolori e dei suoi pensieri oscuri. Lo trovo molto elegante. Era un gran gentiluomo. Un piacere assoluto dividere il set con lui, come se fosse stato sempre ragazzo, anche se un film era brutto non importava, l’avevamo voluto fare. Tanti progetti che non hanno avuto successo mi hanno reso felice lo stesso. È come il fatto che io non mi riveda mai nei film, ricordo solo i momenti dove li ho vissuti. Gli artisti si dimenticano velocemente. Provi a chiedere a un giovane chi è Anna Magnani. La cosa più preziosa è il tempo presente».
Ha visto gli Oscar? La vincitrice Michelle Yeoh e Lady Gaga hanno sorpreso.
«Non ho visto niente. Detesto l’America. Sapevo che era candidata Cate Blanchett e tifavo per lei. La vincitrice, non più giovanissima, ha detto che nessuno deve pensare che il suo momento migliore è passato? Sono d’accordo, nessuno sa cosa è la vita e cosa ci riserva. E se Lady Gaga è andata senza trucco e in jeans è positivo, va contro i diktat della società, se n’è fregata dei giudizi. È una cosa simpatica, la vita è più importante che entrare in una categoria. Detto questo, io non l’avrei fatto. Amo l’idea del travestimento, mi piacciono le mascherate. Non potrei mai dire prendetemi come sono, sarei un’ipocrita. Forse è l’orgoglio».
Lei disse di non amare il suo corpo.
«Sì, nemmeno da giovane. Le labbra troppo grandi, il viso spigoloso…Io mi sono dovuta costruire, ho lottato contro la bruttezza. E a questo punto della mia vita, più mi nascondo dietro una falsa età e più è difficile invecchiare. Quando sono infelice sono contenta di essere brutta. Così vai ancora più a fondo, scendi nel buco. Della vita non bisogna mai lamentarsi di invecchiare e di pagare troppe tasse. Se ne paghi troppe vuol dire che guadagni bene. A 15 anni capisci che nella vita c’è un inizio, uno sviluppo e una fine. Voler nascondere il tempo mi sembra da vigliacchi».
Prima diceva di detestare l’America.
«L’America con la sua falsa libertà, il perbenismo, il dominio dei social media per cui non esistono più democrazia e giustizia».
Instagram c’è anche in Europa.
«Tutti i peccati americani prima o poi arrivano sempre da noi. Siamo i loro valletti. Oggi il mondo è dominato dall’alleanza di virtù e profitto. Così si perde la compiutezza della natura umana. Non c’è più il pensiero libero».
Lei è una delle più grandi attrici del mondo. Ma se ripensa ai suoi inizi…
«Mi vengono in mente i provini andati male. Una volta per un film di Roger Vadim chiesi la trama, mi risposero che ero una rompiscatole. Insistendo, mi dissero che ero una ragazza assassinata i cui occhi venivano messi su una tavola. Scoppiai a ridere e mi cacciarono».
Ha girato «The Palace» di Roman Polansky.
«Una commedia nera, provocatoria, ambientata in un Capodanno a Gstaad, in un hotel lussuoso, con ospiti ricchi e camerieri. Io sono una marchesa innamorata del suo cane. È straordinaria la vitalità di Roman, così preciso, pragmatico, concentrato. Cosa penso dell’America che non gli perdona la violenza sessuale di 50 anni fa? È la società che giudica, condanna. Per me, il perdono è un valore più alto della giustizia, questa è la saggezza».
E lei, che nonna è?
«Per niente pedagogica, non sono buona da frequentare, detesto l’autorità e la rispettabilità. Però ho quattro nipoti, tre figlie e sono tutte normali».