Corriere della Sera, 19 marzo 2023
Biografia di Morgan raccontata da lui stesso
Morgan, qual è il suo primo ricordo?
«Il grembo di mia madre. Forse è un’illusione, ma mi pare davvero di ricordare una sensazione di dolcezza, e nello stesso tempo il fremito di quel che stava per accadere. La ricerco sempre, quella posizione fetale, quell’appagamento dei sensi; e lo ritrovo nei bei rapporti, nel bel gusto, nelle opere d’arte. È un percorso che alla fine dell’esistenza ci riporterà alla pace».
Quindi lei crede all’aldilà?
«Mi piacerebbe molto. Credere consola. Penso la morte non come un’interruzione, ma come un compimento. Però adesso devo occuparmi dell’aldiqua».
Il primo episodio che ricorda?
«Mio papà che ride felice nei vecchi filmini Super 8. Nella vita vera, mio papà non lo vedevo ridere mai. Era sempre molto serio, buio. Così chiedevo a mia madre il motivo».
Qual era il motivo?
«Era cambiato. Oggi la chiamerebbero crisi depressiva e ci sarebbero gli strumenti medici per curarla. Era un uomo intelligente, sensibile, a suo modo raffinato, colto. Mi trasmise la passione per la musica. Era un cavaliere, di quelli che aprono le porte alle signore. Un po’ vanitoso: aveva molte cravatte, che custodisco come cimeli: da lui ho imparato una cosa che non sa fare nessuno, annodarmi il papillon. Era affettuoso e dolce, ma poteva diventare molto duro».
Ad esempio?
«Mi spaccò una chitarra. Lo fece con rabbia ingiustificata, io non avevo fatto nulla di male. Poi realizzò, si pentì, uscì a comprarmi un’altra chitarra. Ce l’ho ancora, quando la guardo mi commuovo».
Che mestiere faceva?
«Il falegname. Il mio Geppetto. Era incapace di calcolo, di furbizia. Non sapeva gestire gli affari. Si indebitò. Ma non ebbe il coraggio di rivelarci la sua difficoltà, di dirci: ragazzi, io non ce la faccio. Così si è tolto la vita».
Quando è successo?
«Lui aveva 46 anni, io 15, mia sorella Roberta 16. Tutti i giorni la portavo a scuola sulla canna della bicicletta: due chilometri, da casa al liceo Zucchi di Monza. Quella mattina papà si avvicinò alla finestra e ci fece ciao con la mano. Non era sua abitudine, e la cosa mi colpì. Lo trovarono nel parco di Monza. In tasca aveva il biglietto di un negozio di strumenti musicali: era andato a informarsi sul costo di una batteria Korg per me».
Quanto costava?
«Quattrocentomila lire. Non le aveva, ma sognava di farmi una sorpresa. Ora ho cinquant’anni, quattro in più di lui, però mi dispiace ancora così tanto. Ricordo una vecchietta centenaria con la gobba, pareva la strega di Biancaneve, che quando mi incontrava mi diceva con la sua vocina stridula: tuo papà è una persona gentile, onesta, retta».
Come reagiste?
«È una storia che mi ha molto segnato. Ma dovevamo fare i conti con la vita che continuava. Servivano soldi per pagare il mutuo della casa. Nostra madre era una maestra baby-pensionata; tirò fuori la sua forza, ricominciò a lavorare, vendeva vestiti in giro per l’Italia. Mia sorella andò a fare la cameriera, e ha preso tre lauree. Io andai a suonare nei pianobar, e sono diventato quello che conoscete».
Quando ha cominciato a suonare?
«Appena nato, quando sentivo musica, smettevo di piangere. A sei anni mi mandarono a lezione di chitarra, e non ho imparato niente. Sono mancino. Un giorno provai a impugnare la chitarra dall’altra parte, e a suonarla al contrario, invertendo la destra con la sinistra e l’alto con il basso: come stare a testa in giù davanti allo specchio. Saranno in dieci al mondo a suonarla in questo modo».
Qual era la sua musica?
«Quando il sabato sera venivano gli amici dei miei genitori, mi alzavo e tenevo il mio spettacolino: tre o quattro canzoni, Elvis, Little Richard, Bob Marley; poi tornavo a dormire. Un giorno, all’uscita dalla chiesa, cominciai a suonare sul muretto, e qualcuno mi diede dei soldi. Papà si arrabbiò molto. Ma io ero contento: capivo che era il mio lavoro».
E al pianobar?
«Il pop anni ’80: Depeche Mode, Brian Ferry, Simple Minds, Dire Straits, Vasco, Venditti, ma anche Battisti e Gaber. Suonavo fino alle 4 di notte; poi il mattino al liceo mi addormentavo sul banco. Fui bocciato. Però guadagnavo 4 milioni di lire al mese, 4 mila euro di oggi. Tra me, mia madre e mia sorella ci pagammo la casa».
Primo disco?
«A sedici anni. La prima band la feci nel 1985, al tempo della grande nevicata: non si poteva andare a scuola, e trasformai in musicisti i miei amici del palazzo: tu suoni la batteria, tu il sax… Loro dissero: ma noi non sappiamo suonare. E io: benissimo; imparate. Poi fondai i Lizard Mixture: la mistura di lucertola. Con il mio amico Andrea Fumagalli facemmo gli Smoking Cocks, che era appunto la traduzione di Fumagalli. La Polygram ci fece notare che in inglese vuol dire pure cazzi fumanti. Cambiammo nome, diventammo Golden Age, e incidemmo per una multinazionale».
E lei diventò Morgan, come il pirata.
«Lo rubai al terzo componente della band, Fabiano Villa, che l’aveva scelto per sé. Anche Bluvertigo, se è per questo, è un nome rubato».
A chi?
«Al chitarrista Giovanni Volpe, ovviamente detto John Fox, che cercava un altro nome d’arte. Bluvertigo è un’idea sua. Ma lui cincischiava, e divenne nostra».
È vero che andava a sentire i concerti da solo?
«Sempre. I Duran Duran in mezzo a 85 mila persone, George Michael all’Arena di Milano, e poi David Bowie. Mi intrufolai per conoscerlo, grazie a Renzo Rosso, quello dei jeans Diesel. Prima arrivò una sosia di Bowie: era la sua assistente. Poi arrivò lui, saltellante, con una giacca a vento. Saltellava pure sul posto. Rosso disse “this is Morgan”, Bowie disse “ciao”, e se ne andò».
Con Battiato invece avete lavorato insieme.
«Papà mi faceva ascoltare di continuo La voce del padrone. Ogni tanto perdeva la cassetta e la ricomprava. Ora tra cassette, vinili e cd avrò almeno dieci copie di quel capolavoro. Il primo maggio del 1995 suonavamo al concertone, Battiato entrò nel camerino e mi fece: “Sei tu l’autore delle canzoni dei Bluvertigo? Mi piacciono molto”. Mi scrisse anche un pezzo per Sanremo, che però non piacque a me. Così se l’è tenuto Franco».
Per Battiato lei mise su una band.
«Gli avevo promesso che sarebbe stata la migliore del mondo. Scelsi tutti i musicisti tranne il basso. Lui mi disse: manca il basso. Volevo farlo io. “Sei il bassista migliore del mondo? Sì? Allora il basso lo suonerai tu”. Così abbiamo inciso l’album Gommalacca, quello con Shock in my town».
Come ricorda Battiato?
«Non muoveva un passo senza Sgalambro, e si davano del lei. Avremmo potuto fare ancora tante cose insieme. Ma lui si spense, poco a poco».
Nel frattempo arrivò X Factor.
«Ho vinto cinque edizioni su sette, sono nel Guinness dei Primati. Sono stato anche il mentore di Noemi, che però non vinse».
La storia con Asia
È finita perché lei mi ha lasciato. Io non ho smesso di amarla: quando si ama lo si fa per sempre. Oggi ho al fianco una donna che mi dà forza ed equilibrio
Vinse Matteo Becucci. E, l’anno dopo, Marco Mengoni. Come lo trovò?
«Bella voce, ragazzo fragile, esile. Il coraggio lo trovava solo sul palco. Bisognava tirargli fuori una personalità nascosta. Così gli feci cantare Talking Heads, AC/DC, Nina Simone, Paolo Conte, David Bowie. Su Bowie crollò».
Lei ammira molto Tenco. Perché?
«Perché è la modernità, l’assenza di retorica, l’asciuttezza. Tutti, da Paoli a De André, da Dalla a Mina, sapevano che era il numero 1. Eppure a Sanremo lo mandarono in onda a mezzanotte».
Crede si sia davvero suicidato?
«Non ho studiato l’aspetto giudiziario, ma quello poetico. E quindi direi di sì, perché aveva una concezione pessimista della vita. Poi certo ci sono molte cose che non tornano».
Lei ha mai pensato al suicidio?
«Certo che sì. Anche Battiato ci ha pensato: “Va bene, hai ragione/ se ti vuoi sparare/ un giorno lo farai/ con determinazione…”. Vivere è rimandare il suicidio».
Cos’è successo con Bugo a Sanremo 2020?
«Sono stato usato, bullizzato, mobbizzato. Avrei dovuto cantare e dirigere l’orchestra; ho finito per diventare l’ospite di Bugo, che cantò pure la mia parte della canzone. Così nella serata finale gli ho reso la pariglia».
Come ha conosciuto Asia Argento?
«Me la fece incontrare Enrico Ghezzi al Bellaria Film Festival. Siamo stati insieme sette anni, abbiamo una figlia meravigliosa».
Anna Lou. Fiorello disse che stava per Lucertola. Sarà Luisa, immagino.
«Sta per Lou Reed. Ma anche Lou Andrea Salomè, la donna amata da Rilke e Nietzsche».
Perché è finita con Asia?
«Perché lei mi ha lasciato. Io non ho mai smesso di amarla, perché quando un uomo ama è per sempre. Sono le donne a lasciarci».
Lei la ama ancora?
«Ho dovuto accettare il terribile dolore della separazione, un inferno che assomiglia molto alla morte. Poi l’istinto di sopravvivenza prevale. Ma non dirò mai “ti odio”, dopo aver detto “ti amo”. Anche se Asia mi ha sfrattato da casa: un colpo sotto la cintura».
Lei ha altre due figlie.
«Lara, che ha 10 anni, e Maria Eco, che ne ha 3. Non si sono mai trovate tutte e tre assieme. È il mio sogno».
Con chi sta ora?
«Con la mamma di Maria Eco, Alessandra. È la mia Dori Ghezzi, la mia Claudia Mori: la mia forza. Ho bisogno di avere a fianco una persona calma, equilibrata, pratica: mi completa».
Con Sgarbi avete fatto pace?
«Certo. Litigare per lui è fisiologico: se non litiga non sente di vivere, non gode. Lo inviterò alla mia nuova trasmissione».
Morgan torna in tv?
«Sulla Rai. Quattro serate dedicate alla musica. Ad aprile, con Pino Strabioli».
Titolo?
«StraMorgan. E sarà vero servizio pubblico. Avremo musicisti giovani e grandi ospiti. Mostreremo che la musica leggera non evapora; è una cosa che fa volare».
Com’è nato il suo rapporto con Giorgia Meloni?
«Ci trovammo a Porta a Porta. Io dovevo emendarmi dalle mie dichiarazioni sugli stupefacenti, lei in quanto ministra della Gioventù era lì per darmi addosso. Ma non lo fece. Ci siamo piaciuti. Qualche tempo fa, siccome non mi garbava il governo Draghi, feci un sondaggio tra i miei 300 mila follower su Instagram: chi fa opposizione? Risposero: Giorgia Meloni. Così le ho scritto».
Che cosa?
«Se era disposta a fare qualcosa per la cultura, per la musica. Ne è nato un dialogo, che continua. Con tutto quel che ha da fare, trova il tempo per rispondermi. Non si è montata la testa, è rimasta lei: la madre di sua figlia, l’amica dei suoi amici. Una stakanovista. “Certo che ci tieni” le ho scritto. E lei: tengo all’Italia più che a me stessa».
L’ha pure votata?
«Io sono anarchico, come potrei votare? Destra e sinistra mi sembrano superate, lo diceva già Gaber. Quando Giorgia stava facendo la lista dei ministri le ho ricordato quanto sarebbe stato bello avere Sgarbi alla Cultura. Mi ha risposto che aveva altri progetti, ma che Vittorio avrebbe avuto un ruolo perché è importante per il nostro Paese».
Non teme rigurgiti fascisti in Italia?
«No. Se ci fossero i fascisti, dall’altra parte pretenderei che ci fossero i comunisti; ma non li vedo. L’ultimo grande è stato Bertinotti. Mi piaceva anche Prodi. Poi, il nulla».
A proposito di stupefacenti, li usa ancora?
«Non vede che sto mangiando tarallucci e bevendo Moscato d’Asti? È l’unico vino che mi piace, per il resto sono astemio. L’ho anche prodotto, nell’Oltrepò Pavese: il Morgato».
Dico seriamente.
«La mia droga è il palco. Ho sbagliato tante cose, ma mai un concerto. Anche quando avevo solo tre spettatori, li ho sempre mandati via contenti. Pure io tengo alla musica più che a me stesso».