Avvenire, 17 marzo 2023
Ninotchka di Lubittsch
Non parlerò qui di una persona reale, ma del personaggio centrale di un film del 1939, Ninotchka, diretto dal grande Ernest Lubitsch e interpretato dalla grande Greta Garbo, la diva dello schermo che fu per almeno trent’anni la più celebre mondialmente di tutte. Dopo aver affrontato coraggiosamente il sonoro (“Garbo speaks” fu lo slogan con cui fu lanciato Anna Christie, tratto da un dramma di Eugene O’Neill) Lubitsch, geniale autore di commedie anche ciniche e libertine, convinse l’attrice ad affrontare un ruolo di commedia e non di melò, non tragicosentimentale, e l’occasione gli venne da un racconto del commediografo ungherese Melchior Lengyel – cui Lubitsch deve anche la sfrenata farsa che mette in scena Hitler ridicolizzandolo, Vogliamo vivere ( To be or not to be, 1942).
Lengyel ha scritto tra l’altro Il mandarino meraviglioso per l’amico Bela Bartok, oltre a commedie e racconti spesso usati dal cinema. Ebreo ungherese, era stato Lubitsch ad assisterlo nell’esilio americano, e molti anni dopo, parlando con un’amica, Anne, moglie di Manlio Rossi Doria (che l’aveva conosciuta in un convegno californiano di operatori sociali di scuola deweyana) e chiedendole delle sue origini scoprii che di cognome faceva Lengyel e che era cresciuta a Hollywood dove, bambina, era stata tenuta più volte sulle ginocchia da Greta Garbo. Sapevo chi era suo padre e, abbastanza sbalordita, molto me ne parlò.
Ma torniamo a Ninotchka, lanciato dalla Mgm con lo slogan di “Garbo laughs”, Garbo ride. È la semplice storia di una giovane e rigidissima comunista russa in missione a Parigi, che viene conquistata da un frivolo aristocratico francese che sa ridestare la sua femminilità e farle apprezzare champagne e pellicce. È infine la storia ben poco femminista di una corruzione capitalista.
Ma per apprezzare Ninotchka bisogna anche pensare alla morale del tempo di Stalin, al modo in cui si intendeva la militanza e si vedeva il posto della donna nella società. Film con personaggi femminili ricchi e complessi sono molto rari nel cinema russo degli anni Trenta e Quaranta, forse con la sola eccezione di quelli narrati da un regista sensibile come Mark Donskoj (penso alla maestrina pioniera in luoghi estremi della federazione, in Arcobaleno), ed è questa rigidità a giustificare, forse, il richiamo a una diversissima visione della donna come era quella del gaudente Lubitsch e dei suoi sceneggiatori (tra quelli di Ninotchka c’era anche Billy Wilder, che se ne ricordò per un personaggio però americano nel “berlinese” Scandalo internazionale). Da Ninotchka fu tratta una commedia musical dal chiaro titolo di Silk Stockings (cioè “Calze di seta”, con la bravissima cantante tedesca Hildegard Kneff ) e un film con la stupenda danzatrice Cyd Charisse