Corriere della Sera, 17 marzo 2023
Il plebiscito nel Veneto
Caro Aldo,
visto l’aggettivo farsa attribuito ai referendum organizzati da Putin in Ucraina, quale aggettivo è possibile attribuire al Plebiscito indetto il 21 e 22 ottobre 1866 nelle Provincie Venete e in quella di Mantova? Il Plebiscito riguardava l’annessione di tali Provincie al Regno d’Italia, all’indomani delle sconfitte da questo subite a Custoza e a Lissa.
Le operazioni di voto consistevano nella consegna all’elettore di due schede di colore diverso, contrassegnate, rispettivamente, dalle parole Sì e No, da deporre, una delle due, nella corrispondente urna posta su un tavolo diversa dall’altra, e contrassegnate anch’esse, rispettivamente con le parole Sì e No. All’elettore che deponeva la scheda del No nella corrispondente urna del No venivano immediatamente richieste le generalità. Questo alla faccia della libertà di espressione della propria scelta! Il risultato del Plebiscito è riportato in una targa posta sotto il porticato (lato laguna) del Palazzo Ducale di Venezia.
Teseo Norrito
Caro Teseo,
non paragonerei Putin a Vittorio Emanuele II. Il Veneto non fu invaso dalle truppe italiane. Il Veneto si ribellò al dominio austriaco nel 1848, quando insorsero tutte le sue città, tranne Verona che era uno dei perni del quadrilatero, quindi la caserma degli asburgici (ma fu una Verona festante quella che gli austriaci dovettero lasciare nel 1866, sparando sulla folla e uccidendo una donna incinta, Carlotta Aschieri). Massimo d’Azeglio – un uomo straordinario del tutto assente dalla memoria nazionale – accorse al fianco dei difensori di Vicenza e fu ferito gravemente. Alessandro Poerio cadde in difesa di Venezia: gli amputarono una gamba, spirò a casa del comandante delle truppe napoletane, Guglielmo Pepe, morto in esilio a Torino, che gli ha dedicato una statua.
Credo, gentile signor Norrito, che quando parliamo del Risorgimento dovremmo avere più rispetto per due generazioni di compatrioti per i quali l’Italia era un ideale che valeva la vita. Purtroppo il Risorgimento non è di nessuno. La sinistra lo considerò un moto borghese (e in parte lo fu davvero; ma non sarebbero bastati i «sciuri» per cacciare gli austriaci da Milano). I cattolici lo considerarono un affronto al Papa, senza comprendere che liberarsi dal potere temporale fu una straordinaria fortuna per i Pontefici, ora riconosciuti non come leader politici ma come autorità spirituali e universali. La destra reazionaria lo aborre; preferisce separatisti e briganti. La consultazione che si tenne in Veneto, e prima in Emilia, nelle Romagne, in Toscana non era un referendum democratico, ma appunto un plebiscito. Quelli indetti dai francesi a Nizza e nella Savoia ebbero un esito analogo. Servivano a sancire decisioni prese altrove. Ma il Risorgimento fu una rivoluzione nazionale, non sociale. Solo un Paese che in fondo si disprezza e si vuole male come il nostro può infangarlo a ogni occasione, anziché coltivarne un ricordo orgoglioso e commosso.