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 2023  marzo 17 Venerdì calendario

Una lettera e una breve autobiografia di Italo Calvino

Bruno Falcetto per la Repubblica


Nei due testi presentati Calvino dice di sé, con i modi della parola in pubblico e di quella privata. La lettera del 1947 all’amica Graziana Pentich (pittrice e moglie di Alfonso Gatto) si snoda attorno a «una ventata di ricordi». Nitidi e vividi, colti nello stato nascente della scrittura, mentre stanno diventando un lungo racconto autobiografico, «già in mente quasi parola per parola», innescato dai luoghi e dal movimento (camminate, discussioni, «quella camera»). Nella lettera la scrittura dell’io ci si presenta con un carattere di “narrazione potenziale” che testimonia al tempo stesso tutta la «ritrosia» e la forza della spinta autobiografica.
Il secondo passo è l’incipit di un autoritratto in pubblico dello scrittore, dal tono insolitamente disinvolto, il primo tassello — sanremese, familiare, giovanile — di un profilo sintetico di vita; è incompleto, ma lo si potrebbe anche dire mirabilmente interrotto. La forma parziale in cui è rimasto fra le carte dà rilievo a una formazione avvenuta grazie a un luogo («di frontiera», in grado di garantire «spiragli» nella «chiusura nazionalistica dell’epoca») e a una famiglia non comuni, e insieme fa risaltare netto nel vuoto della sospensione la radicalità dell’impatto spiazzante che produrranno la guerra e la resistenza. Entrambi i testi ribadiscono quanto per lo scrivere autobiografico antinarcisistico, relazionale, di Calvino dire di sé sia parlare degli altri: gli amici e i genitori, raffigurati questi ultimi come protagonisti primi dell’educazione alla parola e alla letteratura di Italo, dell’intensità sfaccettata e nevroticamente inquieta della sua idea di prosa.
La lettera a Graziana Pentich, conservata al Centro Manoscritti dell’Università degli studi di Pavia, è inLettere. 1940-1985, a c. di Luca Baranelli, introd. di Claudio Milanini, Mondadori, Milano 2000. Il frammento autobiografico, intitolato L’avventura arrivò sotto altra forma, risale probabilmente al 1970 (riprodotto ora inAlbum Calvino, a cura di Luca Baranelli ed Ernesto Ferrero, Mondadori, Milano 2022).


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A Graziana Pentich, Parigi 18-3-85 
Cara Graziana, la tua lettera dell’Epifania mi ha portato una ventata di ricordi. I miei ricordi di Alfonso sono soprattutto del 1946-47, Milano, Genova, forse Venezia ma soprattutto i mesi che avete passato a Torino, in quella camera d’affitto di via Garibaldi, ricordi di Alfonso e te insieme, noi treche camminiamo ore e ore per quelle tristi vie discutendo, Alfonso a sopracciglio alzato gridando le sue invettive... Poi anche Roma, 1948, 1949... Da tempo ho intenzione di scrivere un lungo racconto su quegli anni, autobiografico, che in parte ho già in mente quasi parola per parola e voi due ci siete proprio dall’inizio.
Una certa ritrosia ad abbandonarmi sulla spinta della memoria autobiografica mi ha finora trattenuto, ma ogni anno lo metto in programma tra le cose da fare.
Più rari i ricordi che ho di Leone: una festa alla Casina Valadier (nozze Zolla-Spaziani) in cui Leone tolse la sedia di sotto a Ungaretti facendolo cascare... Una volta che Alfonso mi mostrò Leone già cresciuto: «Non lo riconosci?». Quando fu? Forse al premio Strega 1964, quando Alfonso faceva il tifo per me contro l’autore vincente e gridava (il romanzo vincente era intitolato
Una spirale
di nebbia ): «Ha vinto la nebbia!». Poi da quando ho preso a stare il più del tempo a Parigi, anche Alfonso l’ho visto raramente. Una volta venne a trovarmi a casa a Parigi forse un anno prima della morte. Ma le amicizie sono sempre legate sopratutto a una stagione della vita e la nostra a quei nostri anni di miseria del dopoguerra, i cui ricordi restano folti e vivi sebbene sospesi in una nuvola quasi intemporale, come ricordi d’infanzia. Attendo con impazienza che tu metta insieme questa raccolta.
Ti ricordo con affetto tuo Calvino La nota: Leone è il figlio di Graziana Pentich e Alfonso Gatto, morto a 26 anni nel 1976, pochi mesi dopo la scomparsa del padre. Graziana Pentich, come si capisce dall’auspicio finale di IC, voleva raccogliere e pubblicare, sul figlio perduto, ricordi e testimonianze di amici che lo avevano conosciuto.


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L’avventura arrivò sotto altra forma
Italo Calvino passò i primi venticinque anni della sua vita quasi ininterrottamente a San Remo. Il nome di San Remo evoca all’orecchio dei più ricordi di roulette e di manifestazioni turistiche, ma per Calvino, figlio d’una vecchia famiglia locale di proprietari agricoli, di cacciatori spaccamontagne, di liberi pensatori mangiapreti, di contribuenti in perpetua lite col fisco, resta il paesaggio pieno di piante e d’animali della sua infanzia, una società di provincia fiera e rustica, un duro dialetto. Il padre era un agronomo che aveva vissuto a lungo al Messico e in altri paesi dei Tropici e aveva introdotto in Italia il grape- fruit e l’avocado; aveva sposato un’assistente di botanica dell’Università di Pavia, di austera stirpe sarda, che l’aveva seguito nei suoi viaggi; il figlio nacque in un sobborgo dell’Avana nel 1923, alla vigilia del rimpatrio dei genitori. Egli crebbe dunque in un ambiente familiare ricco di ricordi esotici e di rapporti col vasto mondo, in una cittadina di frontiera dove sopravvivevano ancora i resti del cosmopolitismo “belle époque”; e la chiusura nazionalistica dell’epoca aveva i suoi spiragli. L’esuberanza verbale paterna, in varie lingue e in dialetto, e il suo gusto delle narrazioni avventurose, l’imposizione da parte della madre del corretto uso della lingua italiana, la puntigliosa passione d’entrambi i genitori per l’esattezza terminologica dei generi e delle specie, marcarono nevroticamente il futuro scrittore rendendolo quasi inarticolato in qualsiasi favella e maniaco della parola precisa e fluente nella prosa scritta italiana. Il suo mondo restava però quanto mai lontano dalla letteratura; per tutta la sua infanzia e giovinezza non sentì parlare che di piante, o da frutto o da fiore, e gliene restò una specie d’allergia; ciononostante, giunto all’età degli studi universitari, s’iscrisse alla Facoltà d’Agraria, senz’andare più in là dei primi esami, sperando in una vita d’avventure esotiche. L’avventura arrivò sotto altra forma.