la Repubblica, 17 marzo 2023
Giallo sull’uranio libico rubato
Nelle sabbie del Fezzan è impossibile trovare confini e certezze. È sempre stata una regione di predoni, teatro delle incursioni dei meharisti italiani a dorso di dromedari e delle jeep degli “scorpioni del deserto” britannici, poi degli scontri tra l’armata di Gheddafi e le forze del Ciad sostenute dai francesi. Adesso la regione meridionale della Libia resta una terra di nessuno, contesa tra le fazioni in lotta per il potere a Tripoli. Ci sono pochi presidi militari, tra cui spiccano piccole guarnigioni della Wagner, la longa manus di Putin in Africa. Ed in questa landa remota è andato in scena un giallo da brivido: la scomparsa di due tonnellate e mezzo di uranio.
Si tratta di sostanze radioattive accumulate negli anni Ottanta dal rais di Tripoli, che come tutti i dittatori sognava di costruire una bomba atomica. Quando nel 2003 Gheddafi ha cominciato la collaborazione con l’Occidente, gli impianti sono stati smantellati e le sostanze pericolose sottoposte aicontrolli dell’Onu. In particolare nella zona di Sebha, l’antico capoluogo coloniale, c’è un deposito con molte tonnellate di yellow cake: la polvere gialla che serve per produrre combustibile o ordigni nucleari. Periodicamente gli ispettori della Aiea visitano il magazzino, un’operazione diventa sempre più complessa. Dopo la rivoluzione del 2011 le istituzioni statali si sono dissolte e durante la guerra civile del 2020 l’Esercito nazionale del generale Haftar si è insediato nelle città del Fezzan dove però resta forte l’autorità delle tribù locali. Insomma, il caos. Tanto che martedì scorso, durante l’ultimo controllo, gli inviati dell’Onu hanno trovato una sorpresa inquietante: decine di bidoni erano scomparsi.
L’allarme è stato lanciato dall’Aiea con una nota ufficiale mercoledì notte ed è subito rimbalzato in tutto il mondo. Mancavano all’appello almeno 2.500 chili di yellow cake, il bottino più ambito dai terroristi d’ogni matrice: nonostante la bassa radioattività, con alcuni processi chimici abbastanza semplici può diventare una “bombasporca”. Un’arma che non può generare un’esplosione atomica ma può contaminare città, fiumi o laghi. Per farsi un’idea dell’importanza di questo materiale, basta citare un precedente famoso: vent’anni esatti fa, proprio i documenti falsificati da un ex agente segreto italiano sulla cessione di uno stock di yellow cake a Saddam Hussein hanno contribuito a giustificare l’invasione americana dell’Iraq. Oggi la minaccia è ancora più insidiosa: lungo le carovaniere del Fezzan si muovono jihadisti dell’Isis e di Al Qaeda, attivi sia in Libia sia negli altri Paesi del Sahel.
Nemmeno diciotto ore dopo l’allerta, il generale Khaled Mahjoub, portavoce dell’Esercito nazionale di Haftar, ha dichiarato che i bidoni sono stati recuperati. Sarebbero stati individuati a cinque chilometri dal deposito, allineati in un campo. La sua ipotesi è che un gruppo di guerriglieri venuti dal Ciad – la frontiera è poco distante – abbia scassinato il magazzino e se ne sia impadronita per portarli oltre il confine. I miliziani però cercavano armi o munizioni: quando hanno realizzato che il contenuto era diverso, se ne sono liberati.
Credibile? Gli ispettori dell’Onu non hanno potuto confermare questo resoconto: «Stiamo verificando». Khaled Mahjoub ha parlato di dieci contenitori, mentre il video diffuso dal suo ufficio ne mostra diciotto. Sono stati lasciati in una radura e i militari non intendono rimuoverli: «È un’operazione pericolosa, spetta alle Nazioni Unite».
Nel 2011 laCnn eAl Jazeera avevano filmato il deposito nucleare: c’erano migliaia di fusti azzurri, simili ma non identici a quelli ritrovati ieri. Fonti non confermate ne avevano indicato la posizione in prossimità della città di Sebha. Possibile che i ribelli chadiani si siano spinti fino lì? Nei giorni scorsi sono circolate informazioni su un’alleanza tra questi miliziani e la Wagner, la cui presenza a Sebha è stata documentata, che li starebbe aiutando per destabilizzare il governo del Ciad. Ma proprio ieri Evgenij Prigozhin, il capo della compagnia di mercenari, sul suo canale Telegram ha smentito qualsiasi rapporto.
Il giallo quindi non è chiuso. E oltre due tonnellate di materiale radioattivo rimangono incustodite nel deserto, in attesa che criminali più organizzati le portino via: un’altra testimonianza di quanto sia drammatica la situazione in Libia.