La Stampa, 17 marzo 2023
Il business globale della cocaina non è mai stato così florido
Si produce, si vende e si consuma sempre più cocaina e ormai nessun continente è escluso dalle grandi rotte del narcotraffico. Il global report dell’Unodoc, l’ufficio dele Nazioni Unite per la lotta alla droga, è severo nell’analizzare la tendenza mondiale nel gigantesco business della coca.
Il Sudamerica continua ad essere il grande cuore della produzione, da dove partono le reti di protezioni e smercio che permettono in ogni angolo del Pianeta di trovare polvere bianca da sniffare di buona o cattiva qualità. Sono almeno trecento milioni i consumatori abituali, concentrati soprattutto in Nordamerica ed Europa, anche se cresce la domanda dai Paesi asiatici e africani e anche da un gigante come il Brasile, che fino a qualche anno fa si limitava ad essere terra di passaggio. Durante il primo anno della pandemia tutto si è fermato a causa dei diversi lockdown, ma i produttori e trafficanti non sono rimasti con le mani in mano; hanno stoccato tutto ciò che non riuscivano a vendere, hanno aumentato le aree di produzione e la resa per ettaro coltivato e si son industriati per trovare nuove vie di trasporto e ingegnosi metodi per eludere i controlli tra dogane e polizia di mezzo mondo. Un lavoro ben fatto, che ha prodotto un aumento complessivo del 35% della produzione tra il 2021 e il 2022 permettendo guadagni mai visti prima. La Colombia la fa, come sempre, da padrona con 1.400 tonnellate prodotte su un totale stimato di poco meno di 2.000 tonnellate. A ruota seguono Perù e Bolivia. Il passaggio obbligato per il grande mercato statunitense è il Messico, mentre per l’Europa e il resto del mondo si va via Venezuela, Brasile, Argentina e Uruguay. In Europa hanno perso importanza i porti del Mediterraneo, fra Portogallo, Spagna e Italia e sono sempre più recettivi quelli del Nord, Rotterdam, Anversa, Amburgo. Per soddisfare gli ordini asiatici o dell’Australia si punta sempre di più sulla rotta africana e dell’Oceano Indiano, facendo scala in Sudafrica o Mozambico.
La coca viene nascosta ovunque, approfittando del boom delle comodities sudamericane. Dal triangolo Brasile-Uruguay e Argentina partono ogni giorno centinaia di nave cariche di soia, carne, agrumi ed è praticamente impossibile controllare tutto. Ne sanno qualcosa le autorità del porto brasiliano di Santos, nei pressi di San Paolo o quelle di Montevideo, impegnate in una battaglia tra guardie e ladri dove i primi rimangono quasi sempre con le mani vuote. I narcos sudamericani sanno cogliere vantaggio dall’instabilità politica del continente. In Colombia dopo l’accordo fra lo Stato e i guerriglieri delle Farc si è creato un pericolosissimo vuoto di potere. Diversi ribelli che non hanno deposto le armi si sono messi al servizio dei trafficanti e questo ha provocato un impressionante aumento delle aree coltivate, passate da 143.000 ettari nel 2020 a 204.000 ettari nel 2021, in pratica due volte la superficie di tutto il comune di Roma. Alla quantità si è aggiunta anche una migliore resa, si pianta di più per ogni ettaro e i risultati si vedono. Secondi i dati ufficiali di Bogotà nel 12% dei 1.122 comuni colombiani esistono coltivazioni di coca, ma la metà della produzione è concentrata in appena una decina di grandi municipi nei dipartimenti del Norte di Santander, Narinio e Putumayo. Sono zone di frontiera, la prima con il Venezuela a Nord, le altre due a Sud con il Perù: terre di nessuno dove lo Stato non riesce ad arrivare e dove la corruzione, anche tra le forze armate e la polizia è molto diffusa. Quello che sta succedendo in Colombia, va detto, è la prova chiara del fallimento delle politiche di sradicamento delle culture portate avanti da anni dalle Nazioni Unite. L’Onu investe gran parte del suo bilancio antidroga nella sua maxi-sede a Bogotà, ma è evidente che la scelta di dare sussidi economici ai coltivatori che rinunciano alle foglie di coca non funziona: molti di loro dichiarano una produzione maggiore a quella che effettivamente avevano, intascano i soldi mentre i narcos concentrano le loro attività in altre zone. Anche la distribuzione ha fatto negli ultimi anni un grande salto di qualità. Tra le grandi organizzazioni criminali europea è la ‘Ndrangheta a farla da padrone, grazie ad una rete di broker abilissimi a fare da anello tra il nuovo e il vecchio mondo. Si comportano come agenti di borsa, vivono in quartieri di lusso a San Paolo, Montevideo o Buenos Aires, hanno a libro paga agenti di dogana alla frontiera, capitani di grandi navi cisterna transatlantiche, ispettori nei porti alla partenza e all’arrivo. Si muovono con la velocità e la freddezza di chi ha a cuore un solo obbiettivo, far arrivare la merce a destinazione. Per questo sono disposti a cambiare rapidamente rotta, tenendosi aperte sempre varie possibilità. Se il porto di Gioia Tauro è troppo esposto, ad esempio, si va a Nord.
L’anno scorso la polizia federale brasiliana ha bloccato mezza tonnellata di coca che sarebbe dovuta arrivare a Genova, una destinazione che fino a qualche anno fa non era tra le preferite. L’arresto di Rocco Morabito in Uruguay, con la telenovela della sua fuga dal carcere di Montevideo e la successiva cattura in Brasile, ha fatto capire come per la ‘Ndrangheta sia estremamente importante avere persone di primissimo piano a controllare gli affari sul posto, soprattutto per quanto riguarda il mercato europeo. Le briciole vengono lasciate a cani sciolti, come ad elementi della mafia albanese, sempre e solo se non entrano in collisione con i grandi numeri gestiti dai calabresi. Sugli Stati Uniti, invece, a farla da padrone sono i messicani; la lega dei grandi clan, ad iniziare dal potentissimo clan del golfo, si occupa del passaggio verso Nord, con una scia di corruzione che passa per tutto il Centroamerica fino ai gangli del potere a Città del Messico.
Una nuova tendenza, infine, riguarda il consumo, che aumenta anche nei Paesi di passaggio. In piena pandemia sono aumentati del 55% le richieste di ricoveri e cure urgenti per consumatori di cocaina presso le 40.000 unità del Sistemo Unico di Salute in Brasile. La “bamba” sembra tornata di moda, competendo con la marijuana e le droghe sintetiche; lo si sente negli stati del Centro-Ovest che confinano con il “triangolo magico” della produzione ma anche nelle grandi metropoli. I trafficanti usano le centinaia di piste situate all’interno delle grandi fazendas, sia quelle regolari usate abitualmente per i velivoli con i diserbanti per la produzione di soia, altre nascoste in mezzo alle piantagioni, che vengono create e distrutte nel giro di un mese. In un Paese dove il 90% della produzione agricola circola su strada è praticamente impossibile intercettare la maggioranza della coca in circolazione. Le retate della polizia stradale sono un ago nel pagliaio di un business che non fa che crescere esponenzialmente.