Avvenire, 16 marzo 2023
Biografia di Giovanni Testori
Il duplice anniversario di Giovanni Testori – 100 anni dalla nascita (12 maggio 1923) e 30 dalla morte (16 marzo 1993) – segnala all’attenzione dei lettori uno degli scrittori più importanti e originali del secondo Novecento. Testori nasce a Novate Milanese, nei pressi del capoluogo lombardo, da un’agiata famiglia di industriali. Si avvicina presto all’arte, come pittore e critico. È tuttavia nelle vesti di narratore che si impone all’attenzione del pubblico, a partire dal romanzo breve Ildio di Roserio (1954), uscito nella collana “I gettoni” diretta per Einaudi da Elio Vittorini, poi accorciato, rivisto e inserito nel 1958 in apertura dei racconti della raccolta Il ponte della Ghisolfa, con la quale si apre il ciclo I segreti di Milano (titolo modellato su I misteri di Parigi di Eugène Sue, il romanzo d’appendice che aveva messo in scena le piaghe sociali della Francia ottocentesca). Al Ponte della Ghisolfa seguiranno, a completare il ciclo, la raccolta di racconti La Gilda del Mac Mahon (1959), le commedie La Maria Brasca e L’Arialda (entrambe 1960) e il romanzo Il Fabbricone (1961).
Grazie a queste opere, in pochi anni Testori si afferma come scrittore, imponendosi all’attenzione di lettori e critici, aiutato in ciò anche dal sodalizio artistico con il regista Luchino Visconti, che dal Ponte della Ghisolfa trarrà alcuni spunti (personaggi,
situazioni, temi) per il film Rocco e i suoi fratelli (1960). Un profilo di Visconti scritto da Testori per un volume che poi non vide la luce è recentemente riemerso ed è stato pubblicato a fine 2022 da Feltrinelli: Luchino (a cura di Giovanni Agosti, pagine 416, euro 25).
Già con Il ponte della Ghisolfa emergono i tratti salienti della peculiarità di Testori nel panorama della narrativa italiana dell’epoca. Il volume è tecnicamente, come si diceva, una raccolta di racconti, ma potrebbe essere anche definito un romanzo a episodi. Infatti sono presenti diversi collegamenti tra un racconto e l’altro, o, come anche ci si potrebbe esprimere, tra un capitolo e l’altro. Inoltre alcuni racconti (non necessariamente consecutivi) costituiscono, sommati tra loro, dei blocchi narrativi unitari, in cui ciascuno di essi non sarebbe compreso prescindendo da quello che lo precede o da quello che lo segue. Ci sono poi diversi “trait d’union”, con personaggi protagonisti di un racconto (o di un blocco di racconti) citati però en passant in un altro. Insomma, l’obiettivo dello scrittore sembra essere, più che di offrire una serie di storie a sé stanti, quello di tracciare un più ampio quadro d’ambiente o, se si preferisce, un vero e proprio affresco sociale, i cui protagonisti sono i proletari, di volta in volta più o meno buoni o mascalzoni, di una periferia milanese povera e abbandonata a sé stessa, segnata dalla disoccupazione, dalla prostituzione, da un’ansia di miglioramento della propria condizione che proietta già verso il boom economico.
In questo senso si sarebbe tentati di leggere queste prime prove letterarie testoriane come espressione di un neorealismo nella sua fase epigonica. Eppure il neorealismo di Testori è solo apparente. Al di là dei contenuti realistici, infatti, quello che conta è soprattutto il tono e le modalità della narrazione, condotta all’insegna di un ardimento stilistico che trova nello sperimentalismo strutturale e nell’espressionismo linguistico la principale modalità di esecuzione.
Testori non passa inosservato. Anche per l’urgenza di alcuni temi scomodi: L’Arialda ad esempio, viene censurata per la presunta oscenità degli argomenti trattati, compresa l’omosessualità, condizione vissuta in prima persona dall’autore con tormento. Negli anni successivi lo scrittore va accentuando la carica provocatoria dei suoi testi, dedicandosi soprattutto alla poesia e al teatro, al quale consacra opere di notevole impatto, caratterizzate da un singolare impasto di lingua italiana, dialetto lombar L’Ambleto (1972), il Macbetto (1974) e l’Edipus (1977).
Alla fine degli anni Settanta, Testori si riavvicina alla religione cattolica (che in realtà non aveva mai del tutto abbandonato: perciò sarebbe improprio parlare di “conversione”). Tale esperienza diventa decisiva anche per gli influssi che i motivi spirituali – una fede inappagata, inquieta, sempre in ricerca – esercitano sulla produzione letteraria dell’ultima stagione: si ricordino i drammi Conversazione con la morte (1978), Interrogatorio a Maria (1979), I “Promessi sposi” alla prova (1984).
In questi stessi anni scrive sul “Corriere della Sera” e sul “Sabato”, il settimanale vicino a Comunione e liberazione, movimento con il cui fondatore, don Luigi Giussani, intrattiene un fitto dialogo. Alla produzione giornalistica di Testori è dedicato un importante saggio di Alessandro Gnocchi, Testori corsaro (La nave di Teseo, pagine 144, euro 17), che sin dal titolo istituisce un suggestivo (ma tutt’altro che infondato) confronto con il Pasolini “corsaro”, quello degli articoli dei primi anni Settanta. È come se Testori, pur molto diverso da Pasolini, succedendo a quest’ultimo sul pulpito laico del quotidiano di via Solferino ne abbia come raccolto il testimone in termini di capacità di provocare le coscienze. I pezzi di Testori, infatti, non passano inosservati: che parlasse di terrorismo (erano quelli gli anni degli “opposti estremismi” che tanto sangue hanno sparso nel nostro Paese), aborto, pena di morte, violenza di genere (come diremmo oggi), condizioni di vita nelle carceri, politica o religione, non poteva lasciare indifferente chi si trovava a confrontarsi con le sue posizioni. L’occasione di questo doppio centenario può essere preziosa anche per riscoprire, accanto a quello prettamente letterario, questo versante della sua multiforme produzione, che ne ha fatto, per dirla con Bauman, uno degli ultimi «intellettuali legislatori».