ItaliaOggi, 16 marzo 2023
Lavoro, la produttività paga il calo delle ore
Lavoro, la produttività paga il calo delle ore
Il 31 agosto del 1935 il minatore sovietico Aleksej Stachanov divenne una celebrità nell’Urss per aver ideato una nuova metodologia di estrazione del carbone, riuscendo ad estrarre 102 tonnellate di materiale in un solo turno. Non fece tutto da solo, riorganizzò il lavoro della sua squadra, riservando a sé il ruolo più complesso di «taglio» del minerale dalla faccia di scavo e lasciando ai compagni il compito di caricare il carbone sui carrelli. Il nuovo metodo aumentò la produttività della squadra di 14 volte.
In onore di Stachanov, in Unione Sovietica il 31 agosto fu poi proclamato il «giorno del minatore di carbone». L’episodio lasciò una traccia anche nella lingua italiana, nell’uso del termine stacanovista per descrivere uno che lavora come un dannato. Certo, quello di Stachanov è un record che oggi non ha più un significato. All’epoca i minatori sovietici lavoravano con mezzi molto semplici: piccozze, pale e un minimo di meccanizzazione. L’automazione ha cambiato totalmente il modo di estrarre il carbone dalle miniere, come, più in generale, l’introduzione di nuove tecnologie ha cambiato molti aspetti del lavoro di oggi.
Degli effetti legati all’automazione sul lavoro si era già accorto nel 1930 l’economista inglese John Maynard Keynes, quando calcolò che, in base ai progressi fatti, i suoi nipoti avrebbero dovuto faticare solo 15 ore a settimana. Keynes non ebbe nipoti propri e, come vediamo, sbagliò anche i conti. Tuttavia, non aveva tutti i torti. Da allora la graduale tendenza in tutto l’Occidente, e non solo, è stata verso una progressiva diminuzione dell’orario di lavoro.
Gli economisti americani hanno calcolato che, tra il 1965 e il 2003, negli Usa la settimana lavorativa media maschile è passata da 51 ore a poco meno di 40 ore, per poi scendere in maniera meno marcata negli ultimi due decenni.
Da qualche tempo, particolarmente dopo i lockdown per la pandemia Covid, c’è stata un’impennata d’interesse per la settimana corta di quattro giorni, fermo restando che i salari non scendano anche loro di un quinto nel caso questa politica venisse adottata… In alcuni paesi sono stati condotti esperimenti limitati senza arrivare a risultati inequivocabili, anche a causa della difficoltà a sincronizzare il lavoro a quattro giornate con il mondo circostante che gira ancora a cinque.
Il vero problema è più economico che organizzativo. La proposta è di ridurre improvvisamente del 20% il tempo dedicato alla produzione e, almeno a lungo termine, per l’intera popolazione. Purtroppo, è proprio quella produttività che «paga il conto». Alla lunga, è probabile che la tendenza alla riduzione dell’orario prosegua, seppure con gradualità e solo dopo aver affrontato la domanda chiave: siamo pronti ad accettare la riduzione dei consumi che tutto ciò necessariamente imporrebbe?