la Repubblica, 16 marzo 2023
Haaland e il rumore dei suoi gol
Erling Haaland rappresenta, probabilmente, una risposta per Pep Guardiola e, certamente, una o più domande per tutti gli altri. La cinquina negli ottavi di Champions lo proietta in una dimensione indecifrabile. Ci si chiede, nell’ordine: che cosa sia, quanto valga e dove possa arrivare o possa portare chi gioca con lui. Se il calcio fosse matematica il primo responso sarebbe una cifra, molto alta, ottenuta sommando quelle 5 reti che hanno fatto soltanto in 3, il 10 nella pagella dell’ Équipe fin qui dato a 15 calciatori, i 39 gol in 36 partite di questa stagione, i 200 milioni della clausola rescissoria che potrebbe allontanarlo dal City, dalla Premier e portarlo sulla riva artificiale lungo la Senna dove si arenano i sogni: Paris (Plage) Saint Germain. Dunque Haaland sarebbe, all’ingrosso, un 308, numero che non esiste sulle maglie. Il che riconduce all’interpretazione diffusa secondo cui si tratterebbe di un alieno, alternativa a quella che lo paragona a un animale di rara possanza. Pericolosa, quest’ultima: ai confini della denigrazione, Haaland passa per “orso”, “cavallo”, “bestia feroce”. Se ne coglie un “tratto animalesco”. Ogni telecronista, immedesimandosi nel marcatore, dà voce a un’atavica paura verso una belva imprevedibile, in cui percepisce un istinto assassino.
La visione del centravanti norvegese come extra-terrestre è più lungimirante. Quel che Haaland incarna è infatti post-umano. È il personaggio di un videogioco a cui lo spettatore non partecipa dal suo lato, ma dalla parte dei difenso- ri, manovra dal loro punto di vista ed empatizza con la loro umana fragilità. Haaland è la minaccia che avanza, quella che bisogna sventare. Facile a dirsi: hai voglia, smanettare e sgambettare. Il centravanti non è più lo spazio, il centravanti chiude lo spazio. Pensate all’antenato dei videogiochi, quel ping-pong in cui si controllava il trattino/ racchetta per rimandare il punto/ pallina contro la retta/muro. E ora provate a immaginare che quel muro vi venga incontro, a tutta velocità, non lasciandovi ragionare, non dandovi tempo di rispedire la palla. Quello è Haaland.Il che porta all’immediata obiezione: sì, ma come segna Haaland? Non fa la finta di Cristiano Ronaldo, lo slalom di Messi (o Kvaratskhelia), non ha l’eleganza di Van Basten o Pelé. Nella maggior parte dei casi fa tap-in. Se riguardate la cinquina con il Lipsia e togliete il rigore, restano palloni presi prima di testa poi di piede (o ancora di testa), mandati in rete impedendo il rinvio sulla linea o nell’area piccola. Haaland dice di sé:«Non penso, tiro». Per lo più: non tira, ribatte. A metà della stagione, quando già viaggiava verso i 20 gol in Premier (ora sono 28, la sua maglia diventa la 336) è nato un dibattito fondato su questa accusa: «Non è un goleador, è un mercante di tap-in». Curiosamente è nata da siti specializzati africani. Gli si contestava: fa gol facili, di sponda. È vero: il centravanti chiude lo spazio. Haaland si espande, amplia l’area coperta dalle sue gambe come farebbe un rampicante sulla parete. Quando gli hanno mosso l’obiezione ha risposto così: «Per me non sono semplici tap-in, ma gran gol. Si tratta di essere nel posto giusto al momento giusto e infilare il pallone tra le gambe dei difensori». Fosse facile, perché Vlahovic non trasforma una dozzina di tap-in per tirarsi su? Haaland è imprendibile se parte in velocità, la sua mole fa corrente, lui non cade neppure se lo tirano per la maglia, ma nello stretto rivela altre qualità. Almeno due. Una l’ha segnalata il suo primo allenatore: «Haaland segna con m ezzo tocco». Osservate l’ultimo gol al Lipsia: più che tirare il pallone, lo scaglia. Porta indietro la gamba il minimo indispensabile, resta quasi eretto, eppure parte una bordata. E qui va notata l’altra caratteristica: il rumore dei gol di Haaland. Lo schiocco è particolare, molto forte, la palla qualche volta ritorna in campo per metri. Sembra il vecchio trucco di Sergio Leone per dare alle sue sparatorie quel suono inconfondibile: il doppio proiettile, la pallottola che viaggia dentro una pallottola, un’esplosione dentro un’esplosione.
Che cosa se ne fa Guardiola di tanta (o a volte tanto poca) grazia? Prova a vincere finalmente la Champions lontano da Barcellona. L’impressione è che l’intelligenza del Pep lo abbia finalmente condotto verso l’istinto. Ha mollato le trasfigurazioni di Cancelo e Zinchenko. Martedì ha schierato 4 centrali e due personali eresie: Grealish e appunto Haaland. Chiunque rievochi l’incompatibilità con Ibrahimovic è fuori strada. Haaland è più giovane, disponibile e letale. E Guardiola ora sembra Keith Jarrett a Colonia, quando, dopo due notti tristi, gli diedero un pianoforte che non era il suo e improvvisò, cercando una musica non nella sua testa, ma nello strumento, nella sua unicità, rendendo quel concerto indimenticabile.