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 2023  marzo 16 Giovedì calendario

Il caso del palazzo di Londra del Vaticano, spiegato bene

Rassicurazioni puntuali e circostanziate, scritte ed evidenziate in rosso. Ma false. È su questa base che monsignor Edgar Peña Parra, successore di Angelo Becciu come Sostituto della Segreteria di Stato, alla fine accettò di rilevare il 100% della proprietà del palazzo di Londra al centro del processo in corso in Vaticano. Una strada, poi rivelatasi un vicolo cieco, imboccata dopo aver sollevato molti dubbi, chiesto molti chiarimenti, e averne ricevuti da chi gli era stato presentato come avvocato della Segreteria di Stato ma rappresentava, al contempo, la controparte, il broker Gianluigi Torzi, oggi imputato nel tribunale dello Stato pontificio.
Quando l’arcivescovo venezuelano, che oggi viene ascoltato in aula come testimone, arriva a Roma, a ottobre del 2018, la Segreteria di Stato ha già acquistato una quota del palazzo di Sloane avenue 60 e lo gestisce tramite una società del finanziere Raffaele Mincione. Un’eredità pesante. Una manciata di settimane dopo il suo arrivo, il 22 novembre, il capo dell’ufficio amministrativo, monsignor Alberto Perlasca, lo avverte dell’«alto rischio di perdita totale dell’investimento» e gli prospetta di rilevare l’intera proprietà. Operazione, secondo Perlasca, da realizzare nel giro di una settimana. Peña Parra vuole vederci chiaro. Chiede la documentazione e scopre — prima sorpresa — che Perlasca ha già firmato, lo stesso 22 novembre, due contratti, un “Framework Agreement” e uno “Share Purchase Agreement”, con la società Gutt Sa di Torzi. I dubbi del nuovo Sostituto si infittiscono. Prende carta e penna e invia ai sottoposti una lunga serie di obiezioni su entrambi i contratti.
L’attenzione di Peña Parra si appunta su due aspetti: il ruolo di Torzi e la curiosa decisione di attribuire al broker molisano mille azioni della Gutt Sa, mentre la Segreteria di Stato è titolare delle altre 30 mila senza diritto di voto. Il 27 novembre gli arrivano le risposte, dattilografate in rosso. I due documenti, che sono agli atti del processo e che Repubblica ha potuto visionare, sono prodighi di rassicurazioni. A Torzi, «saranno conferiti i poteri di ordinaria ma non di straordinaria amministrazione »; il broker «continuerà ad essere amministratore di Gutt ma non rappresentante della Santa Sede». Quanto alle mille azioni, esse «hanno la mera funzione di consentire da parte del soggetto terzo l’amministrazione della società Gutt Sa. Tutti i diritti economici sono della Segreteria di Stato». I diritti di amministrazione «saranno condivisi con ilConsiglio di amministrazione nel quale è rappresentata la Segreteria di Stato».
Confortato da queste rassicurazioni, Peña Parra procede. Informa i suoi superiori, ossia il cardinale Pietro Parolin e il Papa, e paga. Firma, spiega il monsignore in un memoriale a sua volta depositato agli atti il 13 aprile 2021, «esclusivamente in ragione delle rassicurazioni ricevute». Ma qualcosa non quadra. Passa meno di un mese e monsignor Perlasca, senza spiegazioni, vuole rescindere il contratto. Monsignor Peña Parra lo convoca, ma Perlasca è inspiegabilmente partito per le vacanze di Natale. Il Sostituto convoca allora un suo sottoposto, Fabrizio Tirabassi, che a sua volta chiede chiarimenti a un esperto della materia, l’ingegner Luciano Capaldo. Viene fuori — ed è la seconda, grossa sorpresa — che la Segreteria di Stato, come scrive Peña Parra a posteriori, «aveva di fatto acquistato una scatola vuota». Torzi aveva trasformato la natura delle azioni: «In realtà la Segreteria di Stato aveva acquisito 30 mila azioni senza diritto di voto, rimettendo l’esercizio di tale diritto esclusivamente in capo al Torzi». Che arriva a espellere il rappresentante della Segreteria di Stato dal cda. Perlasca aveva offerto a Torzi la proprietà del palazzo «su un piatto d’argento».
A stilare le rassicurazioni a Peña Parra era stato l’avvocato Nicola Squillace, «che all’epoca la Segreteria di Stato vedeva come il proprio legale», nota Peña Parra, ma più tardisi scopre che «lavorava in effetti per Torzi». È la terza sorpresa.
Il seguito della vicenda è noto: il Papa suggerisce di «voltare pagina e ricominciare da capo», viene pagato Torzi, gli avvocati consigliano alla Segreteria di Stato di riacquistare in proprio il palazzo, Peña Parra chiede uno stanziamento straordinario allo Ior che, insospettito, denuncia la vicenda alla magistratura vaticana. Si apre il processo. Il danno complessivo è stimato tra i 65 e i 135 milioni di euro. Ma già ad aprile del 2021 monsignor Peña Parra non ha più dubbi: grazie alle «rassicurazioni » dell’avvocato Squillace, annota, si è creato «un ingente danno patrimoniale alla Segreteria di Stato, per non parlare del danno reputazionale per il Santo Padre e tutta la Chiesa ». Più esplicitamente: «Sono arrivato alla convinzione che la Segreteria di Stato è stata vittima di una truffa».