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 2023  marzo 15 Mercoledì calendario

Il problema delle spese fiscali

Il problema è antico. Provò a risolverlo l’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti, senza successo. Ci provarono con scarsissimo successo il governo Monti e quello di Matteo Renzi. Si chiamano «tax expenditure» o più banalmente «spese fiscali». Sono la miriade di agevolazioni fiscali, di eccezioni piccole, piccolissime e settoriali che costituiscono una delle principali storture del sistema tributario italiano. Negli ultimi quindici anni non c’è governo che non le abbia censite e quantificate. Oltre dieci anni fa la commissione presieduta da un noto ex funzionario della Banca d’Italia e sottosegretario del governo Monti – Vieri Ceriani – ne aveva contate circa settecento. Siamo rimasti più o meno a quei numeri. Ora il governo Meloni, alle prese con una nuova delega di riforma del fisco e a caccia di risorse per finanziarla, ha ripreso in mano il dossier. Ieri, in audizione in Parlamento, il direttore dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini ha presentato una nuova mappatura che, se possibile, restituisce un quadro della situazione peggiorato.
«Negli ultimi anni il numero delle spese fiscali è aumentato in modo esponenziale, anche per effetto delle misure emergenziali» causate dalla pandemia, ha spiegato Ruffini. Nel 2022 «è stato censito un totale di 626 spese, con una crescita quasi costante a partire dal 2016», e una lieve flessione solo tra il 2020 e il 2021. Nel dettaglio sono state censite: 112 spese fiscali relative a «competitività e sviluppo delle imprese», 102 voci dedicate a «diritti sociali, politiche sociali e famiglia», 90 per «politiche di bilancio e tutela della finanza pubblica», e ancora 55 per «politiche per il lavoro», altrettante per «casa e assetto urbanistico». Un esempio da solo basta a spiegare quanta iniquità si celi sotto a questi numeri: le società di capitali godono di 120 tipi di crediti d’imposta, quelle dedicate al reddito delle persone fisiche sono 150.
Secondo le stime aggiornate da Ruffini, più della metà di queste agevolazioni vale meno di dieci milioni di euro di gettito l’anno. Assumono le nature più varie: talvolta si tratta di detrazioni, altre volte deduzioni, e ancora riduzioni di aliquota, regimi forfettari, sostitutivi, esenzioni, esclusioni. Alcune di queste agevolazioni hanno natura strutturale, e costituiscono ormai una certezza per le famiglie italiane: da quelle mediche a quelle per abbattere il costo degli interessi sui mutui. La stortura sta nella mancanza di progressività (talvolta sono concesse a pioggia), o perché concesse secondo criteri corporativi a settori protetti: il caso più noto è quello dell’autotrasporto. Ogni tentativo in passato è andato a sbattere sugli interessi particolari che ciascuna agevolazione difende. Si vedrà se il governo Meloni e la sua maggioranza solida sarà in grado di fare meglio dei predecessori e finanziare così un pezzo di riforma fiscale. Nelle tabelle di Ruffini il gettito complessivo vale 82 miliardi, ai quali ne vanno aggiunti almeno altri 40 di «sconti» concessi a livello locale.