il Fatto Quotidiano, 15 marzo 2023
120 pagine di scuola
La meta-lezione di Gustavo Zagrebelsky – una lezione sulla lezione che s’intitola appunto La lezione – è un libretto ingannevole che si presenta con la modestia di 120 pagine e invece è un lungo viaggio dentro una delle questioni cruciali di tutti i tempi (non certo meno nel nostro, disgraziatamente global-social-virtuale) ovvero la scuola (intesa come dialogo tra insegnamento e apprendimento). Le parole bisogna usarle bene non solo per l’incombente lapis del professore, notoriamente intransi-esigente, ma anche perché il pamphlet si apre proprio con l’etimo della lectio, che deriva dal greco légein: “Una parola densa di significati che passano dall’uno all’altro illuminandosi reciprocamente e formando una costellazione piena di sorprese. Prima che con ‘lettura’, solo uno dei suoi significati, légein ha a che fare con l’atto del raccogliere, del radunare, del mettere insieme: e non a casaccio, ma selezionando e scegliendo, come sanno, per esempio, i col-lezionisti o coloro che compongono sil-logi o anto-logie di scritti o detti celebri, o flori-legi e, perfino, loga-ritmi”.
Attorno alla lezione gravitano molte parole, come per esempio “istruzione”, “formazione”, “educazione”. I termini sono solo apparentemente sinonimi; diciamo che sono parenti e come tutti i parenti sono spesso tutt’altro che affini. Tra “istruzione” ed “educazione” c’è la distanza che passa tra trasmissione (del sapere) e indottrinamento (delle idee). Per questo la scuola divenuta un riformatorio a suon di perniciose quanto frequenti riforme e divorata da una burocrazia che si autoalimenta, è frequentemente oggetto di brame politiche e ridicoli scontri (i libri di storia “di sinistra” erano il tormentone preferito di ministri, maggiordomi e sottopancia, regnante B; oggi è l’antifascismo, ahiloro “costituzionale”). La distanza tra questi due poli non lascia spazio ad altra visione dell’esperienza scolastica, a una diversa concezione della ‘moralità’ dell’apprendimento? Si deve scegliere tra uno studente “riempito di nozioni” oppure uno studente “imbottito d’ideologia”? “L’alternativa c’è”, risponde il professore. “Ed è precisamente il camminare insieme guardandosi intorno, sempre e di nuovo. Non c’è forse molta moralità in questo atteggiamento attivo, esplorativo, attento a ciò che c’è costantemente da scoprire e imparare nell’opera di costruzione della propria identità?”. Immagine bellissima, e sarebbe l’atteggiamento migliore con cui affrontare l’avventura del sé e con essa il necessario percorso di formazione.
Ma oggi la scuola deve fare i conti con la società del copia incolla, dei social, del sempre connessi-mai concentrati. Un mondo dove sapere non è un valore, saper pensare men che meno. E da tempo crediamo che sia questo il fine ultimo di chi ha abbandonato la scuola, fingendo di volerla “mettere al centro”, cioè i governanti degli ultimi tre decenni, con pochissime eccezioni: meglio allevare sudditi che cittadini.
La scuola chiede fatica, concentrazione e dedizione “quando invece i ragazzi sono immersi in un mondo che, illudendoli, dispensa facilità, tutto e subito a portata di mano, mode, immagini ed esteriorità, rapporti ‘virtuali’, e quindi solo virtualmente sociali, ‘cultura’ che ‘si scarica’ dai siti e poi, eventualmente, ‘si incolla’ in qualche scritto che solo apparentemente viene dallo studio, dall’impegno, dalla creatività”. E dire che la scuola, il poterci andare tutti, è stata una faticosa conquista; e i nostri nonni – sì, erano solo i nostri nonni – che non ci erano potuti andare se ne rammaricavano e se ne vergognavano per tutta la vita, annichiliti davanti al modulo di un telegramma, perché “la timidezza dei poveri è un antico mistero”, come scrive Don Milani.
Quello dedicato ad “Altri e nostri tempi” è l’ultimo capitolo della Lezione: non la scuola di massa, non la scuola per pochi eletti (le eccellenze) ma una scuola “per tutti”. Molte sono le migliorie che vanno apportate, vi lasciamo il piacere di leggere il lungo e puntuale elenco stilato dal professore. Le difficoltà però non devono essere alibi per una resa. Che dopotutto basta un’ora. “Un’ora sola, un’oretta di amore che la scuola ti ha dato e che tu hai ricevuto può essere tenuta a mente e valere per tutta la vita che resta”.