il Giornale, 12 marzo 2023
Ritratto al vetriolo di Massimo Recalcati
Non a caso, a dimostrazione della verità del detto «Psicanalista cura te ipsum», al proprio matrimonio come colonna sonora ha voluto La cura di Franco Battiato. Che dice poco sullo sposo, ma molto sul terapeuta. «Prendersi cura significa preoccuparsi delle mancanze dell’altro», «Curare è dissolvere l’angoscia», «Il gesto più alto della cura è quello di farci rialzare...». Del resto detto con la duttilità che solo un maître à penser della sinistra di desiderio e di soggettivazione può comprendere Massimo Recalcati, esistenzialismo a collo alto, psico-occhiale e barba tempestosa ha sempre molta cura di sé. Lacca, Nárkissos e camicia slacciata, pronunciando un pensiero che suona erotico-esotico alle orecchie delle professoresse democratiche anelanti una seduta con lui sul lettino, è uno di quegli intellettuali engagé che – in tempi in cui il corpo della donna non obbedisce alla logica fallica dell’avere – sanno ancora suscitare Desiderio. «Professore, mi lacanizzi tutta!». Qualcosa di più di un influencer motivazionale, qualcosa di meno di un filosofo dello Spirito, meravigliosa pop star con la «S» maiuscola di SuperEgo, Massimo Recalcati è l’uomo che tutte le donne vorrebbero sposare, la donna con la quale ogni uomo vorrebbe discutere, lo scrittore che ogni editore vorrebbero pubblicare, il professore che ogni alunno vorrebbe avere, il conferenziere col quale ogni ascoltatrice vorrebbe regredire alla fase orale, l’ospite che ogni festival vorrebbe invitare. E comunque: «Se la realtà è una continuità, il reale è la rottura di questa continuità». Tarapia tapioco con scappellamento nel centrosinistra. Je t’adore, Recalcatì. Filosoficamente fluido, linguisticamente impalpabile, firma da prima pagina, già psicoanalista ufficiale della Leopolda renziana, Massimo Recalcati col suo tariffario personalizzato e il codazzo di damazze in perenne autoanalisi erotica, sempre compiaciuto di sé, studio in zona Brera sognando il Café de Flore – conscio, inconscio, libido, estetismo e nuove melanconie è «LO» psicanalista, per convenzione. Freudiano? Junghiano? «No, Lacaniano...». «Ah, ho capito... Il peggio del peggio». Il miglior oratore oggi su piazza, lessico misterico, prosa polimorfica, dialettiche edipiche e una predilezione per le parole vuote, Massimo Recalcati dice quello che vogliamo sentirci dire, divulga e semplifica, piace e compiace, annienta gli estremismi, riduce le asperità del pensiero: accarezza, arrotonda, rassicura. Non dice nulla di nuovo. Ma lo dice benissimo. Da cui l’immortale aforisma di Edoardo Boncinelli: «Recalcati mena Lacan per l’aia». Come ha detto qualcuno, Massimo Recalcati un upgrade metasemantico di Alessandro Meluzzi, un downgrade afasico di Paolo Crepet – rappresenta la nuova generazione della pregiata specie dello psicologo da salotto: quelli che invece di fare accomodare il paziente sul divano, preferiscono accomodarsi loro in poltrona. Se Massimo Recalcati fosse un giornalista sarebbe Andrea Scanzi. Se fosse uno scrittore sarebbe Teresa Ciabatti. Se fosse un politico sarebbe Elly Schlein. «La vita è fatta di incontri, tutto dipende dagli incontri che facciamo». «Dove c’è accoglienza c’è sempre famiglia». «L’eredità non è l’appropriazione di una rendita, ma è una riconquista sempre in corso». Come se fosse antani. Di recente Recalcati ha anche scritto, con spicciola psicanalisi giornalistica, che la violenza è soltanto di destra, e se la sinistra è violenta lo è in quanto lotta contro il fascista che porta dentro di sé. «Patrocloooooooo!». Domanda: ma Massimo Recalcati è il Baricco della psicoanalisi, o Baricco è il Massimo Recalcati della letteratura? Milanese di Cernusco, che è un po’ la rive gauche del Naviglio – Cernusch come la Parigi di Sartre, la Trattoria Donna Carmela come la Brasserie Lipp – una sonora bocciatura in seconda elementare (gli insuccessi scolastici come rielaborazione del lutto, il merito del demerito, l’elogio del fallimento...), un diploma all’Istituto tecnico agrario di Quarto Oggiaro (la periferia rispetto al centro, il centro come periferia dell’Io, il dualismo vicino/lontano...), giovane rivoluzionario di Lotta continua, poi una laurea in Filosofia alla Statale, specializzazione in Psicologia, «Buongiorno, Professore...», i seminari, gli studenti adoranti, i libri più solidi i primi saggi teorici, più fantasiosi i bestseller divulgativi – le collaborazioni col Manifesto e Repubblica, gli insegnamenti (come docente a contratto) fra Milano, Padova, Verona, Pavia... lo studio in Brera, le apparizioni tv... È nata una psico-star. «Posso farle un’intervista?». «Solo domande scritte». Qualcuno voleva scrivere che Massimo Recalcati è l’Armando Verdiglione delle Feste dell’Unità. Ma non lo ha fatto per paura di una querela. Da parte dell’Unità. Invece La Verità lo ha preso in giro per il suo comunismo metodologico chiamandolo «Maskim Recalcatovic», e lui ha querelato. Pietrangelo Buttafuoco lo ha difeso definendolo piuttosto «un gagà, ovvero un paroliberista del rango sublime dei Petrolini», ed è stato diffidato anche lui. Marco Travaglio lo chiama «Recalcàzzola». Ma sono esagerazioni. Recalcati è un Lacan terzopolista. Bello, suadente, senza bava alla bocca, con sottile malìa televisiva ipnotizza le casalinghe mentre girano il sugo e non hanno voglia di sentire gridare Cacciari e Parenzo. L’amare, l’eros, l’acuto della lussuria, l’aprirsi all’apertura del desiderio, il godimento, la femminilizzazione come menzogna, Il complesso di Telemaco, il figlio, il tramonto del padre... Cazzate così. Padre di due figli, una compagna alla quale è fedelissimo (il mito di Penelope, la devozione coniugale, l’icona dell’attesa...), 63 anni, 60 libri, media di uno ogni tre-quattro mesi, nel 2023 ne sono già usciti due e siamo solo a marzo, e poi migliaia di articoli, conferenze, interventi, rubriche... Massimo è recalcaticamente ovunque, nelle librerie, in tv (su Rai3, strano...), nelle università, nei teatri. E interviene su tutto: la mutazione antropologica pasoliniana, il viaggio di Ulisse, la scuola, il sovranismo come narcisismo collettivo, l’Ars amatoria, le sibille disperate, le erinni, le milfone, i mariti Coribanti... E, indiscutibilmente, oltre a piacersi troppo, piace molto. Cose che piacciono molto a Massimo Recalcati: Matteo Renzi; pronunciare la frase «L’amore è esposizione all’alterità dell’altro»; il Raviggiolo di Cernusco sul Naviglio reinterpretato con lumache, farina di grano saraceno e formaggio; le politiche sociali del primo Obama, da cui il suo motto «Yes, we Lacan»; indossare il giubbotto di pelle nera su maglia nera alla The Fonz; querelare. Cose che non piacciono per niente a Massimo Recalcati: essere paragonato a Raffaele Morelli; la battuta «Uno di quegli specialisti che frequentano i festival della mente ma ormai hanno perso del tutto la testa»; Alfonso Berardinelli quando recensisce i suoi libri; chi gli chiede quanto costa andare in analisi con Recalcati; ridere; il fascista che ognuno di noi porta dentro di sé, anche se quelli di destra lo portano dentro di più; la parodia di Crozza; la frase «Si stava meglio quando c’era Alberoni» (anche se un po’ è vero). E per il resto, condividiamo in pieno l’analisi di Recalcati. «Ma quale?». «Boh, è lo stesso».