Corriere della Sera, 12 marzo 2023
Intervista a Clio, l’influencer del trucco
L’ultimo record di visualizzazioni di ClioMakeUp, otto milioni di follower sui social e un fatturato da dieci milioni l’anno, non è dovuto a un rossetto, ma alle lacrime. Qualche giorno fa, l’influencer ha fatto un video per dire che «il mondo del beauty online è diventato un luogo spaventoso, tossico, dove per avere successo bisogna essere cattivi». Verrebbe da dire «anche le influencer piangono». Solo che, quando andavano di moda le telenovelas e in tv spopolava «Anche i ricchi piangono», davanti alle traversie dei protagonisti, la gente piangeva con loro; mentre ai, tempi dei social, c’è gente che i protagonisti in difficoltà li insulta, li offende e gode ad augurare ulteriori mali.Clio, nata Zammatteo a Belluno 40 anni fa, è la star del beauty online, ed è l’altra italiana, come Chiara Ferragni, che partendo dal web ha fatto di sé un marchio. Ha iniziato nella sua stanzetta nel 2008 e ha costruito un impero, con programmi tv, libri, blog, un magazine online e una linea di prodotti cosmetici che ha il suo nome. Ora, al Corriere, dice «quel video di sfogo è nato di getto. Dopo, mi sono chiesta: ho fatto bene o ho fatto male?».
E che si è risposta?
«Che ho fatto bene, perché sono umana e ho momenti di fragilità. E perché, oggi, il web sta invece diffondendo la “sindrome della ragazza felice” quella che “tutto è perfetto, tutto va bene, il mio sedere è il più alto di tutti”. E questo perché qualsiasi rappresentazione di umanità e imperfezione desta risposta svalutative: se mostri una crepa, una ruga, una debolezza, vieni deriso e offeso».
Che cosa è successo per farla piangere?
«Intanto, è un periodo difficile: una persona a me vicina sta molto male. Qualche tempo fa, l’ho detto alla mia community, perché mi scrivevano: ti sei truccata bene, ma hai gli occhi tristi. E già lì, c’è chi mi ha scritto: ora capirai quali sono le cose importanti, guardala che frigna...».
Questo l’antefatto. E la causa scatenante dello sfogo?
«Era uscito un mio nuovo tonico, i commenti dei follower affezionati erano positivi, ma essendo i social sempre più esposti a chi passa per caso, c’erano commenti molto aggressivi, lamentele sul prezzo. I miei collaboratori mi hanno sollecitato un video di spiegazioni. Ma io vendo prodotti solo se so che li ho fatti bene e chi mi segue lo sa, perciò ero contraria: il prodotto deve parlare da solo».
Quali commenti le hanno fatto più male?
«Quelli in cui mi augurano fallimenti e malattie. Non riesco proprio a capire questo genere di cattiveria, che è peggiorata tanto, dopo la pandemia. Poi, c’erano i soliti “trovati un lavoro serio”. Io, ogni volta, vorrei prendere queste persone e far loro vedere la mia azienda: con l’e-commerce, le spedizioni, i prodotti, cento dipendenti».
Non è la prima a subire gli haters.
«Ma denunciarlo spero che aiuti a correggere il sistema. Quando ero bambina, i bulli erano considerati forti, è da poco che li percepiamo come quelli che stanno dalla parte del torto. Poi, c’è una forma di violenza di cui molti non si rendono conto: quella in cui, per fare i complimenti a qualcuno, si svilisce qualcun altro. Io, se qualcuno per lodare un mio prodotto, dice che quello di un concorrente fa schifo, intervengo. Va il modello Hooligans: bisogna massacrare i tifosi avversari. Invece, la competizione fa bene. I miei genitori erano gelatai e i clienti discutevano su chi faceva il gelato più buono, ma c’era spazio per tutti».
I social sono mai stati un Eden senza odiatori?
«No, ma eravamo pochi noi produttori di contenuti ed erano pochi loro. Già allora, ci rimanevo malissimo. Col tempo, pensavo di averci fatto il callo. Ma quando passi dall’essere persona a essere brand ti prendi non solo le antipatie personali, ma anche tutte le reazioni contro il marchio. Tutto ricade sulle mie spalle. E io sono sensibile, trattengo tutto come una spugna. Eppure, ho sempre ascoltato le critiche costruttive, le ho sempre usate per fare meglio, ma questo sistema, ora, mi fa paura».
Un fatturato da dieci milioni di euro non vale questo prezzo da pagare?
«A me non frega niente di fare più soldi, a me interessa la credibilità. Rifiuto il 90 per cento delle sponsorizzazioni che mi propongono. E, prima di accettare, devo provare i prodotti: un antirughe lo pubblicizzo solo dopo averlo provato per un mese. E, se non mi convince, non lo promuovo. Poi, alle 17, stacco per andare dalle mie due bambine».
Perché nel video dice «sono delusa da me stessa perché ho cercato di adeguarmi al sistema»?
«Perché nell’ultimo periodo sono stata più cauta nel parlare, dato che ogni parola viene estrapolata dal contesto e usata per aggredire o per farne un titolo acchiappaclic con finto scoop. Anche riguardo a quella persona malata, non ho potuto dire chi è e che cos’ha».
Da quando ha successo ha vissuto a New York, perché dal 2020 è tornata in Italia?
«Perché quando hai due figlie ti manca il contatto coi nonni, gli zii. E poi, l’azienda stava crescendo e non riuscivo più a gestire fuso orario, aerei da prendere».
In tutto questo, che soluzione vede?
«Sicuramente non quella di cambiare me stessa».