Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  marzo 12 Domenica calendario

Intervista a Matteo Berrettini

Lo vorrebbero processare. Anzi, la sentenza di colpevolezza per Matteo Berrettini sarebbe già stata emessa. Ma il finalista di Wimbledon, fuori al primo turno a Indian Wells, respinge ogni addebito: la crisi non c’è.
Berrettini, cosa vogliono da lei?
«Me lo sono chiesto, e una risposta credo di averla: più diventi esposto - neanche famoso - e diventi bersaglio di attacchi, soprattutto se le cose non vanno come vorresti, o come la gente vorrebbe».
Hanno ragione gli accusatori?
«Personalmente non ho alcun dubbio rispetto a quello che sto facendo: non sento di aver preso una strada diversa dal tennis. Sono lo stesso ragazzo di sempre».
Però l’accusa è: non vince più.
«Ma non è così per tutti i lavori, le carriere? Ci sono momenti in cui si lavora di meno. Inseguo solo i miei sogni e la mia carriera».
È l’epoca degli haters sui social.
«Si può gettare odio in maniera troppo facile. Eppure allo specchio vedo un ragazzo che vive con tranquillità: sono educato, non ho mai insultato nessuno, mai una parola fuori posto in nessun commento».
Eppure è colpevole anche del suo nuovo amore, Melissa Satta.
«Noi ci siamo trovati... ma stiamo parlando di un fatto privato, molto positivo e di cui sono felice. Io sono riservato e amo la privacy (anche se poi ho fatto entrare Netflix nel mio quotidiano), e sapevo che scegliendo una persona dello spettacolo i riflettori sarebbero stati accesi. Però, è sempre comeuno vuole vederla, no? Non è una colpa se siamo seguiti e ci fanno le foto. Sto avendo una relazione sentimentale come tutti gli altri ragazzi della mia età. Normale. E anche qui mi spiace che una cosa totalmente positiva, che è un sentimento poi, venga girata come una distrazione professionale.
Posso dire? È irrispettoso parlarne così, mi spiace che venga letta così. Fortunatamente non da tutti».
Tutto ciò incide nei pensieri...
«Al di là degli haters mi spiace per quelli che di tennis ne sanno: non sono critiche costruttive e non ne capisco le ragioni».
L’anno scorso è toccato a Sinner, adesso a lei e Musetti: non è che c’era gente che aspettava solo questo momento?
«Ma non succede in tutti gli sport?
Non è che si sale sempre in termini di prestazioni. Siamo umani: ci sono le emozioni, la stanchezza, gli incidenti. Manca un pochino di equilibrio. Capisco che ci siamo abituati ai Federer-Djokovic-Nadal che hanno dominato il tennis facendo sembrare normale essere n. 1 per 10 anni, invece non lo è».
E riguardo a lei?
«Io parlo col mio team e non vedo preoccupazione, ma un momento in cui bisogna lavorare e stare sul pezzo. Dico, e sfido chiunque, ad avere i miei incidenti e poi portare a casa risultati. So di avere la stoffa giusta per andare avanti».
Non c’è imparzialità di giudizio.
«Equilibrio. Lo vorrei da quelli che hanno fatto questa vita: per insegnare e mostrare che la cultura sportiva si può insegnare».
Però?
«Sembra che per alcuni la felicità dipenda se vinco o perdo io, e sfogano così la loro frustrazione. A me spiace esserne il mezzo. Per me lo sport dovrebbe essere usato come gioia: ci si può arrabbiare per la sconfitta, ma non insultare».
Immaginava fosse così il tennis?
«Mi sembra poco tempo fa che cominciavo e giocavo il primo torneo. Penso alla finale di Wimbledon: sono quasi due anni e sembra ieri. Il tennis è un viaggio bello, ma intenso con poco tempo per godersi quello che uno ha fatto. Forse, lo dico a posteriori, quand’ero più piccolo avrei voluto conoscere come gestire meglio gli extra: contratti, media, programmazione. Da ragazzino pensi solo al campo. Sapere che dopo un grandissimo risultato me ne sarebbe stato chiesto un altro... è che nel tennis il punto d’arrivo non c’è. Funziona che devi avere un piano, ma poi anche saperadattarti. Improvvisare. Perché se sei troppo rigido poi ti spezzi».
Come si passa dalla finale di Wimbledon al presente?
«Non c’è una formula magica. Alla fine quello che faccio è per me e per le persone che mi sono vicine. La fama è un plus. Anche se talvolta destabilizza perché se voglio cenare devo trovare soluzioni per avere un minimo di intimità. Penso che le questioni personali vadano rispettate, non disturbate. Ma nessuno può prepararti a questo, la soluzione è che ti devi immergere nella dimensione e provare a gestirla».
Dunque, qual è il messaggio di Matteo Berrettini?
«Mi piace lasciare questo messaggio di normalità: mi sveglio la mattina con le stesse paure, l’ansia e gli stessi pensieri di qualsiasi altro 27enne, italiano e del mondo. Quindi dico: cerchiamo di giudicarci meno, io ci provo in primis».
E magari pensare alla salute...
«Gli infortuni... Mi chiedo se sto sbagliando qualcosa, ma la verità è che mi spingo sempre al limite, e il tennis è sport molto stressante per il fisico e la mente. Ora cerco di vivere con uno stato di angoscia minore, meno teso e meno rigido in campo e più rilassato nel quotidiano».
I suoi pensieri per il futuro?.
«Ho tanta fiducia. Ho voglia di far parlare di me solo in maniera sportiva, fare emozionare le persone. Che è quello che mi interessa di più».